Il dopo Zaia e l’incapacità di decidere
Regionali, il centrodestra parte nettamente in pole position in Veneto; ma poi i voti bisogna andarseli a raccattare tra la gente, in un territorio segnato da un’allarmante diserzione dall’urna


Sior Intento for president. In attesa del nome, la (non) scelta del candidato del centrodestra alla guida del Veneto ha acquisito di diritto la colonna sonora: quella di una vecchia quanto popolare filastrocca, divenuta l’emblema dell’incapacità di decidere e della tattica del perenne rinvio. Dove il quartetto di vertice della coalizione interpreta da par suo la parte del protagonista di una vicenda «che dura tanto tempo / che mai non se destriga»; in una stucchevole cantilena sempre più circoscritta alla muffa dei palazzi romani. Tutto il resto è noia, per dirla con la canzone di Franco Califano.
A vederli da fuori, più che in una seria partita politica i protagonisti della vicenda sembrano impegnati in un deleterio gioco dell’oca, dove puntualmente si ritorna alla casella di partenza.
Il nulla di fatto di ieri, seguito al vertice romano, risulta un integrale “copia-e-incolla” di quanto (non) accaduto due mesi fa: era metà luglio quando veniva solennemente annunciato un summit di coalizione per procedere alla scelta dei candidati alle regionali d’autunno.
È passata l’intera estate, tre regioni (Campania, Puglia e Veneto) rimangono tuttora appese a un “mister X”; oltre a non conoscere il nome, gli elettori veneti ufficialmente non sanno neppure il giorno in cui andranno a votare. E questo con ormai esplicito malumore non solo della platea generale, come segnalano autorevoli dichiarazioni del mondo delle imprese, ma degli stessi vertici regionali della coalizione, come appena esplicitato dal segretario veneto di Fratelli d’Italia.
Perché è vero che il centrodestra parte nettamente in pole position; ma poi i voti bisogna andarseli a raccattare tra la gente, in un territorio dove la disaffezione verso le cattive prassi della politica sta alimentando da tempo un’allarmante diserzione dall’urna.
Chiunque sia il capofila della coalizione, la partita vera si giocherà al suo interno, specie tra Fratelli d’Italia e Lega: i primi impegnati a confermare le schiaccianti affermazioni elettorali del 2022 e 2024; i secondi occupati e preoccupati di contenere al massimo l’inevitabile scarto.
E se i meloniani continuano a essere sulla cresta dell’onda, i salviniani, oltre a scontare l’handicap del dopo-Zaia, continuano a risentire di aspre turbolenze interne che l’iper protagonismo di Vannacci attizza anziché sedare.
L’esito del confronto interno a due sarà decisivo: perché da esso dipenderanno i reali margini di manovra del futuro presidente regionale, specie se il tavolo nazionale alla fine dovesse regalarlo alla Lega; in tal caso con pesanti compensazioni per gli alleati.
Sono questioni che non toccano i vertici, chiusi nelle loro casematte romane, ma che sono ben note alle rispettive basi: quelle che ogni volta devono scarpinare sul territorio. E i tempi si stanno facendo sempre più stretti, tanto più dovendo proporre al pur ampio elettorato veneto di centrodestra una totale novità dopo l’era plebiscitaria dello Zaiastan.
Già cinque anni fa, alla conferma di Zaia, tutti (tranne lui e pochi intimi) sapevano dell’impossibilità di una ricandidatura; per affrontare il dopo ci si è ridotti agli sgoccioli, e ancora se ne parla a vuoto.
Nello stesso arco di tempo un giovane vicentino, Nicolò Guarrera conosciuto come “Pieroad”, ha appena completato un giro del mondo a piedi lungo trentacinquemila chilometri, partito da Malo, sua città natale.
In questi 1.826 giorni, la politica nostrana è riuscita a mala pena a percorrere i 530 chilometri che la separano da Roma. E lì si è fermata, impantanandosi nella Grande Palude.
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