Sondaggio sui femminicidi: perché non sono “solo” parole

La leggerezza non è ammessa, non di fronte a un’emergenza che per essere sconfitta richiede l’impegno collettivo. E non ci sono alibi

Sabrina Tomè
Giulia Cecchettin, vittima di femminicidio
Giulia Cecchettin, vittima di femminicidio

No, non sono “solo” parole. In un Paese in cui ogni anno vengono uccise più di cento donne, servono consapevolezza, rispetto, empatia. Consapevolezza del fenomeno e della sua gravità, rispetto per le vittime, empatia per i loro familiari.

La leggerezza non è ammessa, non di fronte a un’emergenza che per essere sconfitta richiede l’impegno collettivo, a partire da quello dei più giovani. Non è ammesso normalizzare e banalizzare il male. E non ci sono alibi: dopo Giulia Cecchettin tutti, dalla società civile alle istituzioni, hanno promosso iniziative di sensibilizzazione contro la violenza di genere e contro i femminicidi.

“Mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire”, scriveva la poetessa Alda Merini. Ecco, ripartiamo da qui.

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