Perché Prodi frusta la sinistra

L’ex leader del centrosinistra vittorioso nelle urne esprime le proprie critiche nei riguardi di quanto avviene nel “campo largo” e progressista. Ed è proprio qui che la sua autorevolezza, paradossalmente, incontra maggiori difficoltà a ottenere il giusto (e doveroso) ascolto da parte di coloro a cui si rivolge in maniera accorate

Massimiliano PanarariMassimiliano Panarari
Romano Prodi
Romano Prodi

Romano Prodi è sempre in campo. Lo fa con le sue interviste sullo scenario geopolitico ed economico internazionale (come quella con Marco Zatterin uscita sui nostri giornali), che ottengono attenzione da una parte all’altra dello schieramento politico.

Tuttavia, accanto al Prodi economista e tecnico, c’è anche l’ex leader del centrosinistra vittorioso nelle urne che, oramai da un certo lasso di tempo, esprime le proprie critiche, sempre meno velate, nei riguardi di quanto avviene nel “campo largo” e progressista – che, politicamente, rimane il suo nonostante non possegga tessere di partito. Ed è proprio qui che la sua autorevolezza, paradossalmente, incontra maggiori difficoltà a ottenere il giusto (e doveroso) ascolto da parte di coloro a cui si rivolge in maniera accorate.

E dire che dei suoi suggerimenti il non precisamente coeso cartello di sinistracentro avrebbe un gran bisogno – e, invece, l’impressione è che vengano trattati quasi alla stregua di consigli non richiesti. In particolare dall’inner circle di Elly Schlein, reduce dalla manifestazione del Pride a Budapest, che ha fatto della tematica dei diritti una sorta di stella polare pressoché esclusiva – ed è anche su questa visuale parziale (per quanto importante) che l’ex presidente del Consiglio, e creatore dell’Ulivo insieme ad Arturo Parisi, non risparmia le sue bacchettate.

Proprio in questi giorni ha dichiarato che «la sinistra non si occupa più dei problemi della gente», definendosi un «riformista e un libero pensatore». Affermazioni nettissime, la prima delle quali propone una (gigantesca) questione che, da parecchio, costituisce un nodo politico centrale. E a evidenziarla non è un avversario, ma la persona che ha saputo far vincere a più riprese l’allora alleanza ulivista all’insegna di un’impronta riformista.

L’arrivo di Schlein alla segreteria – che «non era stata vista arrivare», per citare una formula che ricorre (fin troppo) spesso – ha comportato un drastico mutamento sotto il profilo dell’orientamento e della piattaforma, dal quale è derivato un recupero di consensi per il Partito democratico da lei riposizionato a sinistra. E una condizione di «competition» – per dirla sempre con parole prodiane – rispetto al Movimento 5 Stelle e Avs, che genera una dinamica prioritaria di radicalizzazione.

La segretaria che ha vinto «venendo da fuori» esprime una visione depurata da ogni timore reverenziale nei riguardi degli assetti e degli equilibri precedenti – nella quale, però, rientra anche, come sostengono alcuni osservatori solitamente bene informati, una scarsa volontà di comunicare con figure quali, per l’appunto, Prodi e perfino il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Il Pd «nella versione di Elly» si avvicina molto al modello etichettato come «partito radicale di massa», sebbene le vere masse – ancorché atomizzate e monadiche – continuino a votare a destra, in parte precisamente anche per questo indirizzo che non riesce a essere declinato in abbinata a una convincente agenda sociale. Ed è proprio quello che l’ex premier della stagione ulivista vuole rammentare con i suoi interventi pubblici: a buon intenditor... Ma il problema è che qui in tanti (troppi) sembrano non intendere, né – a dirla tutta – intendersene. 

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