Romano Prodi: «L’Europa è paralizzata e con Trump rischiamo l’abisso. Gaza? Uno sterminio»

L’ex premier e presidente Ue attacca il ritorno dei nazionalismi: «Senza un’Unione democratica, finisce tutto». Duro su Gaza: «L’Europa imperdonabile». E su Trump: «Tratta solo con chi gli somiglia»

Marco ZatterinMarco Zatterin
Romano Prodi
Romano Prodi

L’Europa è remissiva con Donald Trump, il nostro nuovo daddy per dirla col segretario della Nato, «perché è vent’anni che ha smesso di decidere». Seduto nella sacrestia della Chiesetta di via Col di Lana, all’estrema periferia torinese, Romano Prodi risponde d’istinto sulle tempeste che scuotono il Vecchio Continente. «Da che il potere nell’Unione è passato dalla Commissione al Consiglio - spiega -, cioè da un organo sovranazionale a uno che rappresenta gli Stati, non è stato più possibile prendere decisioni innovative per colpa del voto all’unanimità». L’eccezione - concede l’ex presidente del Consiglio e dell’esecutivo Ue intervenuto a un dibattito della Miniera della Cultura - «è venuta col Covid e la pestilenza ha obbligato ad agire». Negli altri casi, «si è sempre vissuto di mediazioni, che non sono tollerabili quando ci sono i grandi cambiamenti perché servono solo a paralizzarsi, a rendersi ininfluenti».

Qual è la cura, professore?

«La prima è rendere l’Unione pienamente democratica. Indire un grande referendum per finirla con il voto all’unanimità. Non ha alcun senso. A quel punto, si potrebbe ricominciare con la politica e smettere di gestire l’Europa come fosse un condominio, un luogo dove, se non si votasse a maggioranza, nessuno pulirebbe le scale».

Tutto questo a chi conviene?

«Il fatto è che il mondo è cambiato, e la gente vota sempre di più per la propria identità. Lo si vede quando si è contro i migranti anche se questi servirebbero. L’identità è legata alla nazione. L’Europa è nata per sostituire all’identità nazionale una nuova identità comune europea. Invece si sta affermando un nazionalismo che guarda l’interesse del singolo Paese e non quello comune».

Il presidente francese Mitterrand avvertì che «il nazionalismo è guerra».

«Infatti da quanto il nazionalismo si è e riaffacciato prepotente in Europa non abbiamo più pace. E questo perché sta svanendo l’ordine internazionale: la guerra in Ucraina è un esempio, come lo è quella in Israele. Il sogno del secondo dopoguerra, che si voleva realizzare con i grandi organismi come l’Onu e l’organizzazione per il commercio, tramonta. Torniamo alla vecchia tragedia dei nazionalismi.

Cosa rischiamo?

«Senza un rimedio rapido, finirà tutto. Ma Trump segna l’apoteosi del ritorno al nazionalismo, disprezza tutto ciò che è diritto e faticoso compromesso. Trump tratta solo con i leader solitari e con i dittatori».

Tratta con chi sente come lui.

«Con quelli che sono come lui perché lui vuole essere come loro. Vuole un autoritarismo progressivo. Non per nulla dialoga con Putin e, anche se è il grande nemico degli Stati Uniti, tratta la Cina meglio dell’Europa».

Non crede che la grande assente in Europa sia la politica?

«In realtà c’è una politica nuova, dei singoli Paesi e non europea. Si è avuta una frammentazione degli interessi. Speravo, e spero, che una nuova intesa franco-tedesca possa in qualche modo far ripartire l’Europa, ma non ne sono convinto».

Il dialogo rafforzato fra Berlino e Roma sulla difesa è stato letto in chiave anti Parigi. Ci risiamo con le divisioni incrociate.

«L’Italia dialoga un po’ con la Germania, un po’ con Trump, un po’ con l’Ungheria, un po’ con chiunque, con Francia o Spagna, purché se magna».

Così fan tutti. Basta guardare le banche e la manovra italiana in Germania.

«Non vedo perché Unicredit non possa comprare la Commerzbank, che va male. La domanda è come andrebbe a finire se Unicredit fosse francese.

Come legge il no di Sanchez all’aumento della spesa militare?

«Interpreta l’interesse nazionale come gli altri, ma in direzione opposta. Intendiamoci: non è stata rafforzata la politica militare europea, ma le singole difese nazionali nel quadro di una Nato in cui comandano gli Stati Uniti».

L’Italia centrerà il 5% del Pil in spesa per la Difesa?

«Ha già impostato le cose per non arrivarci, cominciando a riflettere sui margini di contabilità che può permettere la Nato, valutando se si possano considerare investimenti non diretti, compreso il ponte sullo Stretto. Un secondo elemento di flessibilità, ancora più forte, sono i tempi: al primo esame, a fine decennio, molti leader potrebbero essere cambiati, Trump compreso. L’orizzonte è lungo».

Lei teme, per citare papa Francesco, una terza guerra mondiale a pezzi?

«Non c’è dubbio che la profezia si stia avverando. Spero che, giunti sull’orlo dell’abisso, ci sia un freno. Ma temo che sia un accordo fra potenti».

C’è stato il più violento bombardamento in Ucraina. Come finirà?

«Una tregua in Ucraina verrà presto, perché Trump e Putin hanno un canale aperto e cane non morde cane. Sarà ai danni di Kiev, però».

Cosa vuole Putin?

«La sua idea guida è la grande madre Russia; lo zar, non l’Unione sovietica».

E Gaza?

«È distrutta, finita. Netanyahu ha sempre avuto la stessa visione, vuole controllare il Medio Oriente e ora con la protezione americana non ci sono problemi. Su Gaza l’atteggiamento europeo è imperdonabile. Quello e succede non ha nulla a che fare con le cose militari, è uno sterminio. Il mondo si sta incattivendo».

Una curiosità. Che effetto le hanno fatto le nozze di Bezos sul Canal Grande?

«Una follia. Se si spendono addirittura trenta milioni per un matrimonio vuol dire che l’umanità è marcia dentro. Detto questo, è meglio che li spenda a Venezia piuttosto che a Las Vegas».

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