Sull’AI serve un patto tra formazione e imprese
La rivoluzione in corso crea una più immediata e necessaria saldatura tra ciò che accade nelle imprese e nelle altre organizzazioni, come la scuola

Il discorso di Mario Draghi sull’intelligenza artificiale (AI all’inglese) tenuto al Politecnico di Milano è importante perché invita tutti, in primo luogo i decisori politici in Europa e in Italia, ad adottare una visione più ampia su questo tema cruciale rispetto a quella ad oggi prevalente, ed anche più lunga, proiettata nel futuro prossimo venturo.
È entro questa nuova visione che assume un significato chiaro l’invito a darsi una mossa, ad avviare rapidamente progetti e azioni coerenti, che sottende l’intero intervento di Draghi, perché nella situazione data non vi sarebbe nulla di più dannoso che correre nella direzione sbagliata.
I punti contenuti nel discorso che, a mio parere, sono più rilevanti nel dare forma alla nuova visione sull’AI di cui parlo, sono tre. Il primo attiene all’imperativo (strategico) di passare da un approccio difensivo, che vede l’AI come problema e come minaccia, a un approccio costruttivo, che la vede come opportunità i cui vantaggi non riguardano solo le imprese produttrici di beni e servizi capaci di coglierla, ma anche gli utilizzatori finali dei nuovi beni e servizi basati sull’AI.
In via esemplificativa, Draghi si sofferma sulle enormi potenzialità che l’applicazione di soluzioni AI ha nel campo della salute. Un esempio forse non scelto a caso, se si pensa al ruolo decisivo che in questo campo svolge il soggetto pubblico affinché quelle potenzialità vengano effettivamente sfruttate a vantaggio dei cittadini.
Nel trattare il grande impegno in ricerca e innovazione che le imprese europee e al loro fianco le istituzioni dell’ecosistema dell’innovazione devono dispiegare per avanzare sulla frontiera dell’AI, e sulle politiche a favore dell’innovazione che andrebbero varate per agevolare questo percorso, Draghi fa un’affermazione di particolare rilievo (il secondo punto di cui mi occupo): «Queste riforme sarebbero particolarmente efficaci qui in Italia, dove il tessuto imprenditoriale è molto più dinamico di quanto suggeriscano alcuni stereotipi».
Non dice che di questi stereotipi soffrono molti suoi colleghi economisti, ma così è. Gli osservatori attenti della capacità innovativa espressa da sistemi territoriali come quelli che compongono il cosiddetto “Nuovo Triangolo Industriale” (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna), che peraltro si estende a Nord (Trentino) e ad Est (Friuli Venezia Giulia), sanno bene quanto abbia ragione Draghi, e quanto è rilevante il messaggio racchiuso in questo riconoscimento: se si metteranno in campo buone politiche industriali per incentivare l’innovazione, c’è una solida base di imprese capace di farne un buon uso, e di innescare comportamenti imitativi ed emulativi da parte di altre.
Il terzo punto riguarda il rapporto tra istituzioni scolastiche e AI, su cui si è soffermato Marco Panara ieri in un articolo su questo giornale. Alle sue condivisibili considerazioni, ne aggiungo una che completa l’idea della nuova visione proposta da Draghi.
Delle diverse rivoluzioni industriali che si sono succedute, la quarta, o meglio la quarta potenziata dall’AI, che stiamo vivendo, è quella che crea una più immediata e necessaria (in termini evolutivi) saldatura tra ciò che accade nelle imprese e nelle altre organizzazioni (incluse quelle pubbliche), nelle scuole, nelle abitazioni e nelle famiglie che le animano: c’è bisogno di giovani dotati di maggiori competenze nel digitale e nell’AI che possano portare nei contesti dove vanno a lavorare come pure nelle famiglie che formano, rendendole interlocutori e utilizzatori intelligenti delle tecnologie e delle soluzioni disponibili.
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