Omicidio di Charlie Kirk, quelle parole che aizzano la violenza negli Usa
L’uccisione dell’“influencer” di Trump è solo l’ultimo dei fatti di sangue che hanno colpito la classe dirigente statunitense: per una volta, l’Italia ha qualcosa da insegnare

Su una cosa Donald Trump ha sicuramente ragione: è un momento buio per l’America. Forse uno dei più bui di sempre. I tanti auspicati (e annunciati) successi in politica estera come pompiere nel conflitto in Medio Oriente e in quello russo-ucraino si stentano a vedere, per usare un eufemismo.
Ma è la situazione interna a preoccupare maggiormente gli osservatori internazionali. L’omicidio di Charlie Kirk – «l’influencer» di Trump come è stato scritto – è solo l’ultimo dei fatti di sangue che hanno colpito la classe dirigente statunitense.

All’inizio dell’estate, Melissa Hortman, deputata democratica del Minnesota, è stata uccisa insieme al marito. Il Partito democratico è rimasto nel mirino anche nel contestuale ferimento di un altro senatore. Lo stesso Trump, nel luglio 2024, nel bel mezzo della campagna elettorale, è stato vittima di un tentato attentato a Butler, in Pennsylvania.
Attacchi non sono stati lesinati anche nei confronti del personale diplomatico (due impiegati dell’ambasciata assassinati nel corso di una cena di gala a Washington) e delle corporation, come testimoniato dall’assassinio dell’amministratore delegato di United, Health Care.
E poi, anche se siamo nell’era dell’informazione rapida, non dimentichiamo l'assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, un’insurrezione tentata dopo il discorso di Donald Trump ai suoi sostenitori, nel quale l’allora presidente uscente contestava duramente il risultato delle recenti elezioni presidenziali che lo avevano visto sconfitto contro il democratico Joe Biden.
In Italia li chiamavano anni di piombo (e di tritolo), a marcare il decennio dei Settanta, quando la contestazione politica sessantottesca aveva lasciato spazio allo sfrenato estremismo degli opposti. Per una volta, forse, il nostro Paese ha qualcosa da insegnare: nasceva anche da quella tragica esperienza il governo di solidarietà nazionale. Partiti politici che sedevano sui lati contrapposti del Parlamento uniti nel fronteggiare l’emergenza della violenza che stravolgeva il Paese.
Forse Trump non lo sa. O forse non gli importa visto che, per commemorare Kirk, ha diffuso un video in cui per ben due volte in pochi minuti denuncia la sinistra radicale che «ha per anni paragonato gente meravigliosa come Charlie a nazisti e i peggiori assassini di massa e criminali», condannando «la retorica» «direttamente responsabile per il terrorismo che vediamo nel nostro paese oggi»: perché, conclude, «la violenza politica della sinistra radicale ha colpito troppa gente e preso troppe vite».
Siamo senz’altro d’accordo che la violenza politica deve finire ora. Anzi, sarebbe meglio se non vi fosse stata. Ma se questo «terrorismo» (e sull’uso del termine pure ci sarebbe da opinare) colpisce indiscriminatamente il repubblicano Steve Scalise così come la democratica Gabby Giffords, qual è il senso di scandire, sull’onda emotiva dell’assassinio di Kirk, un anatema contro una non meglio precisata sinistra estremista?
Personalmente, mi resta il dubbio che questo sia il migliore dei modi per contenere l’estremismo e aprire al dialogo al quale, ha pure detto Trump, la vita dello stesso Kirk è stata dedicata.
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