Dai dazi alla politica interna, il disegno arcaico di Trump

Dietro le scelte spesso contraddittorie del presidente si intravede un disegno per riportare la democrazia americana a una forma di monarchia vecchio stampo

Peppino OrtolevaPeppino Ortoleva
Donald Trump assieme a J. D. Vance
Donald Trump assieme a J. D. Vance

In questi anni il mondo intero sembra ruotare attorno a un uomo, alle decisioni spesso contraddittorie che prende e annuncia, agli odi e alle effimere simpatie che muovono le sue scelte, mentre i potenti della terra fanno a gara per compiacerlo spesso con toni adulatòri degni delle corti di secoli passati.

È indubbio che molte delle decisioni prese da Donald Trump siano spiegabili soprattutto con un temperamento narcisistico e vendicativo che lo sta portando a scelte autodistruttive: come lo smantellamento delle istituzioni preposte alla tutela della salute degli americani, o l’imposizione di pesanti dazi all’India che spinge questa potenza sempre più in un campo ostile agli Stati Uniti.

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Ma ci sono aspetti, nonostante tutto, di coerenza nella politica di Trump? È possibile intravvedere, oltre quello che è dovuto al suo temperamento, un disegno di fondo che forse potrebbe durare oltre la fine della sua presidenza?

Nei mesi che hanno preceduto le ultime elezioni presidenziali molto si discusse dei piani predisposti da alcuni think tank conservatori, il più noto dei quali è il Project 2025 preparato da un gruppo vicino al vicepresidente J.D. Vance, che miravano a usare una possibile vittoria repubblicana per rimettere radicalmente in discussione sia i diritti maturati negli ultimi decenni dalle minoranze sia lo stesso assetto istituzionale del Paese.

Durante la campagna elettorale Trump dichiarò sdegnosamente di non essere assolutamente influenzato da quei progetti anzi di non conoscerli neppure, poi il suo protagonismo ha offuscato il loro stesso ricordo. Ma è possibile che essi abbiano avuto e abbiano tuttora un considerevole peso nella sua politica.

Così in materia di diritti, dove le norme di tutela delle minoranze vengono non solo annullate ma metodicamente rovesciate, punendo tutte le istituzioni che continuano ad attenersi a quelle regole. E almeno altrettanto grave e sistematico è l’attacco ai princìpi fondamentali della democrazia americana.

I cosiddetti “padri fondatori” della repubblica fondarono il loro Stato su quelli che vengono chiamati “checks and balances”, i “freni ed equilibri” per cui ciascuno dei poteri dello Stato è sottoposto a controlli da parte degli altri poteri: questo modello venne prima concepito dai pensatori illuministi poi messo in pratica dai costituenti statunitensi per lasciarsi alle spalle i secoli delle monarchie assolute. Il progetto che guida l’azione di Trump è ora sottomettere al potere esecutivo, nella persona del presidente, sia quello giudiziario sia quello legislativo.

A questo fine Trump usa la sua influenza sui giudici conservatori della Corte Suprema e mira a “ridisegnare” la geografia elettorale di interi stati per conservare la maggioranza in Congresso. E aggredisce quelle autorità indipendenti che erano state create nei quasi duecentocinquanta anni di democrazia a cominciare dalla Federal Reserve Bank.

In quest’azione sistematica vengono sottratti alle figure competenti, e affidati a servi o fedelissimi, enti importantissimi come gli enti di statistica e quelli di verifica elettorale. Mentre in nome della lotta contro l’immigrazione illegale sta nascendo una sorta di superpolizia che risponde solo al presidente.

È un disegno insieme moderno, allineato con le autocrazie emergenti nel mondo, e arcaico, perché sogna di riportare la democrazia americana a una forma di monarchia di vecchio stampo. Ma non dovremmo dimenticare che, come è stato detto, «il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente».

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