Il buco nero che inghiotte Alberto Trentini e il silenzio assordante delle istituzioni
Mentre crescono gli appelli dal mondo della cultura, l’assenza di una voce istituzionale solleva una domanda bruciante: la tutela dei cittadini all’estero dipende dal peso degli interessi economici?


Alberto Trentini è, da trecento giorni, inghiottito da un buco nero.
Trecento, come gli spartani nella battaglia delle Termopili contro l’esercito persiano. Ma, a differenza della leggenda, i trecento giorni non sono guerrieri indistruttibili, sono lunghissime estensioni di ore in carceri orrende dalle quali nulla si vede, a partire dal motivo per cui si è stati attratti in quelle oscurità.
Esattamente in un buco nero: la forza gravitazionale di un’istituzione statale senza pietà, contro la quale non è stata ancora mostrata un’energia capace di liberarlo dall’abbraccio brutale.
Sono molteplici le richieste di rilascio di Alberto, anche da voci importanti, molte dall’arte e dalla cultura. Quella che non si ode è la voce istituzionale. Dopo dieci mesi un nostro concittadino, dipinto da chi lo conosce e da molta stampa nazionale, come una persona degna, pare essere trasparente proprio per quelli che hanno il dovere di tutela e di garanzia.
Saranno probabilmente impegnati nei sotterranei di quelle trattative segrete che sempre vengono invocate in casi come questi; perché chiedere chiarezza sulle imputazioni o sui tempi di liberazione pare esiga bisbigli, ammiccamenti, contrattazioni, faccende che non possono essere rivelate ai comuni cittadini. A dimostrazione che i grandi apparati di Stato non riescono a parlare a viso aperto a chi paga le tasse, perché alimentare enormi buchi neri è uno sport molto diffuso.
In realtà questa segretezza, che racconta di grandi immoralità istituzionali, può celare autentici lavori quanto diluitissimi interessi.
Il Venezuela non è certo un decisivo partner commerciale per l’Italia, circa 178 milioni esportati nel 2024. A confronto, in un Paese come l’Iran, che trattenne Cecilia Sala, esportiamo il triplo e in Egitto, dove ci siamo impantanati con l’assassinio di Giulio Regeni, oltre tre miliardi, quindici volte tanto.
Dovrebbe valere un principio generale secondo il quale i cittadini italiani, ingiustamente imprigionati o addirittura uccisi nei vari Paesi del mondo, siano adeguatamente sostenuti dalle nostre istituzioni.
Prestando particolare attenzione dove vi siano regimi stritolanti. Non dovrebbe mai manifestarsi il dubbio che le attenzioni sembrino seguire lo spessore degli interessi economici nazionali: nessuna fretta particolare dove non c’è nulla da guadagnare; discreta pressione dove il partenariato economico è forte, ma non fortissimo, e quindi una bella figura viene guadagnata senza ritorsioni; confusione dove la forza della controparte appare evidente e non appare lecito pestare troppo i piedi.
Forse sono solo casualità, altrimenti che brutta lezione sarebbe...
Non vogliamo, poi, nemmeno pensare che l’attenzione istituzionale sia condizionato dalle scelte civili di questi concittadini. Che la loro libertà o integrità sia in funzione del pre-giudizio sulle loro idee.
Alla famiglia di Alberto, ai suoi amici e sostenitori, vada però la convinzione che chi sta combattendo questa battaglia è, numericamente, di molto superiore ai trecento spartani e che essi, pur senza scudi e spade, innalzano parole, idee, convinzioni affinché l’ingiustizia, anche quella contro Alberto, non venga dimenticata.
Perché se ciò accadesse, se vincesse la conta dei giorni in cui nessuna soluzione appare all’orizzonte, come stiamo vedendo in questo lungo calendario di guerre, allora il futuro si frantuma. E con esso anche la credibilità delle istituzioni. Ma perché questo non accada bisogna che in quel futuro si voglia coscientemente esserci: con giustizia, valori, responsabilità e un costante e irrinunciabile desiderio di libertà
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