Il Capitano Salvini e le bandiere della Lega: tanti annunci, pochi risultati
Il grigio rosario di sfide andate a vuoto dovrebbe suggerire al Carroccio una pausa di riflessione collettiva: l’impotenza di Salvini è sempre più evidente


Houston, abbiamo un problema, dovrebbero dire i colonnelli della Lega al generale Matteo Salvini, distratto dalle tante operazioni sul campo (inaugurazioni di opere, missioni e così via). Causa veti e contro-veti degli alleati, è evidente che le cose non vanno granché bene, come dimostra l’ultimo flop sul terzo mandato, che ha spedito in soffitta i sogni di gloria perpetua di Luca Zaia e Massimiliano Fedriga. Creando non pochi grattacapi al segretario, che già fatica a tenere a bada «il partito del Nord» che si sente tradito dal suo sodalizio con il generale Vannacci, indigesto ai federalisti ortodossi che ne denunciano l’irrilevanza politica.
Ma a mettere le cose in fila, se la somma fa il totale, il grigio rosario di sfide andate a vuoto, a fronte dei pochi successi inanellati, dovrebbe suggerire una pausa di riflessione collettiva. Che porti magari a concentrarsi solo su uno o due precisi obiettivi, da far divenire irrinunciabili, pena la decadenza dell’alleanza: anche se qualcuno direbbe che ormai un congresso federale si è già celebrato in novembre, che il Capitano lo ha stravinto di nuovo e che tutti vissero felici e contenti.
Al primo step di mid term del governo, però, impossibile non notare come nel computo dei dare-avere interni alla maggioranza, la bilancia della Lega penda dalla parte sbagliata: delle bandiere allestite dal Carroccio per far tornare a splendere il sole sul busto di Alberto da Giussano, nessuna o quasi è riuscita a sventolare. Autonomia regionale, non pervenuta. Flat tax, non pervenuta. Pace fiscale, ferma ai box. Pacifismo, battuto dal raddoppio delle spese militari deciso all’Aja. Pensioni, niente, quota 41 assente. Terzo mandato, si sa come è andata. Rinvio del voto delle Regioni, già respinto al mittente.
In compenso, perché c’è un compenso, Salvini ha portato a casa un decreto sicurezza che aumenta pene e reati, bocciato dalla Cassazione e a forte rischio incostituzionalità, bandiera da destra estrema che ha tenuto nelle sue mani, a differenza di quella sul freno all’immigrazione, scippatagli da Giorgia Meloni. Che ne ha fatto un plus della sua immagine internazionale. Grazie alla mossa del centro di rimpatri in Albania, pressocché vuoto, ma foriero di soddisfazioni.
Lo stop delle riforme
Per carità, non che vada meglio per i partiti alleati, alla luce del rinvio a settembre delle riforme istituzionali, sventolate in campagna elettorale: la separazione delle carriere cara a Forza Italia ha l’andatura di una tartaruga, il taglio delle tasse alle imprese si scontra con la penuria di fondi, la bandiera sulla cittadinanza è stata strappata dagli alleati malamente. Pure gli azzurri ammettono di incidere poco sull’azione di governo, ma salgono nei sondaggi più del Carroccio e questo basta.
Per FdI questione a parte. Il premierato di Giorgia Meloni ristagna da mesi, crivellato dai colpi inferti dai costituzionalisti alle varie incongruenze di un testo astruso: che dà ai cittadini lo scettro per eleggere il capo del potere esecutivo, salvo levarglielo di colpo qualora la maggioranza di turno decidesse di detronizzare il re o la regina per sostituirla con qualcuno non eletto dal popolo a tal scopo.
Per non parlare della decurtazione dei poteri del presidente della Repubblica, che da arbitro prezioso per l’equilibrio delle istituzioni, si trasformerebbe in spettatore impotente. La premier rassegnata pare orientata a sostituire il disegno ambizioso di farsi eleggere in pompa magna da milioni di voti con quello di imporre il nome del candidato premier nelle schede elettorali. Meglio che niente.
Autonomia questa sconosciuta
Ma la Lega è quella messa peggio: delle varie bandiere, la più importante è quella dell’Autonomia regionale, finita nelle pastoie dopo esser stata smontata dalla Consulta, rimontata da un testardo Roberto Calderoli. Con una nuova legge delega sui Lep, da far digerire al Parlamento (pieno di eletti al Sud) voce per voce, una sequela di votazioni che farebbero impallidire un governo ventennale.
Di trasferimenti di funzioni non se ne parla più. Il Veneto vorrebbe la Protezione civile, ma gli ostacoli sono alti, le altre Regioni della Lega scalpitano, ma nulla si muove. Tra il sorrisino beffardo di Antonio Tajani, l’indifferenza (venata di consumata perfidia) di Giorgia Meloni, che gode a disarmare la concorrenza a destra. E una evidente impotenza del Capitano: il quale giocoforza punterà le sue carte sul dirottare una parte dei fondi per armamenti, alla costruzione di Infrastrutture vitali, prima tra tutte il Ponte sullo Stretto. Auguri.
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