Terzo mandato, Salvini perde la partita ma gabbando gli altri vince la guerra
Il leader della Lega blinda la sua leadership lasciando Fedriga e Zaia senza sbocchi. Fratelli d’Italia e Forza Italia affossano l’emendamento e alzano la posta: ora pretendono potere e poltrone in Veneto e oltre


Se Matteo Salvini, pur incline ai colpi di testa, non fosse il politico navigato quale è, la sua figura in questa vicenda potrebbe ricordare quella di Pinocchio che si fa convincere dal Gatto e la Volpe a sotterrare le monete d’oro nel Campo dei Miracoli, sperando che ne nascesse un albero carico di zecchini. Sì, perché l’ultima mossa di depositare nel terreno minato del Senato l’emendamento per il terzo giro di boa dei governatori contando in una sorta di miracolo finale che avrebbe potuto risolvere con un colpo di bacchetta magica tutti i problemi del Capitano, non è adatta a chi guida un partito come il Carroccio da più di un decennio.
Quindi, c’è da credere che al leader leghista la parte in commedia del malcapitato gabbato da due furboni (in questo caso Giorgia Meloni e Antonio Tajani) non si addica. E che anche lui avesse messo in conto questo finale da diverse settimane. Senza rammaricarsene poi troppo, anzi. E che addirittura si senta come il Carlo delle Piane del capolavoro di Pupi Avati, “Regalo di Natale”, entrato con le stimmate del perdente in quel diabolico consesso di pokeristi e uscito vincitore dopo aver gabbato lui tutti.
Perché una cosa è certa: da oggi i più temibili rivali interni del Capitano, ovvero Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, sono politicamente azzoppati non per mano sua, ma dei suoi sodali Meloni e Tajani. E non potranno vendicarsi a breve, poiché con astuzia il segretario ha celebrato il congresso a fine 2024, blindando il suo potere.
L’ultima tappa di questa lunga serie di colpi di scena sul terzo mandato è finita dunque come era prevedibile, con un nulla di fatto e un mezzo perdente. Giorgia Meloni potrà schermirsi dietro le spalle di Tajani dicendo «io le ho provate tutte, ero disponibile a votare una legge ad hoc, peccato che Forza Italia non ne voglia sapere». Discorso immaginario, ma verosimile, che porta dritto a una chiosa finale: a questo punto, dopo aver appoggiato fino all’ultimo la richiesta leghista di un terzo giro ai suoi generali, i Fratelli coltelli pretenderanno un adeguato tornaconto nella spartizione delle poltrone che contano, in Veneto e non solo.
Il Capitano dovrà pagare pegno. FdI potrà sedersi al tavolo delle trattative sulle «migliori candidature da scegliere» (copyright by Salvini) alzando la posta, cominciando a pretendere che Luca Zaia non presenti sue liste per non togliere voti al partito guida della coalizione. Per ottenere, se non la candidatura a governatore, più consiglieri regionali, più potere, più fondi da distribuire con gli assessorati alla Sanità e alle Infrastrutture. Per questo è scontato che la Lega infili il nome Zaia nel simbolo delle regionali per cercare di fare il pieno di voti.
E del resto, come poteva finire diversamente, dopo che il partito della premier aveva deciso di impugnare la legge regionale della Campania per impedire a Enzo De Luca (e quindi a Luca Zaia) di candidarsi per la terza volta? E dopo l’impugnazione della legge trentina contro le ricandidature dei leghisti Fugatti e Fedriga in Fvg? Come si poteva sperare in una svolta di Forza Italia che non aveva merce di scambio da chiedere, visto che non ambisce a nessuna candidatura nelle regioni in cui si vota in autunno? Il rilancio-provocazione volto a strappare il sì a una legge sulla cittadinanza andava letto come una perfida vendetta di Tajani contro il suo alleato rivale. Così del resto vanno le cose nelle migliori coalizioni.
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