Mps, a chi conviene davvero l’offerta su Mediobanca

La possibilità che il Monte entri nel capitale di Mediobanca è ora una prospettiva molto vicina

Luca Piana

l 24 gennaio, quando il Monte Paschi di Siena lanciò la sua scalata a Mediobanca, annunciò che mirava a conquistare il 66,67%. Vista l’accoglienza negativa da parte del mercato, la percentuale di successo era stata poi ridotta al 50% più un’azione, un livello critico: solo con la maggioranza del capitale, infatti, Siena potrebbe consolidare la banca d’affari milanese e utilizzare così le cosiddette “imposte differite attive”, ovvero gli enormi crediti fiscali – pari a 1,2 miliardi – accumulati per le perdite miliardarie degli anni passati. Da ieri, anche questa soglia si è ulteriormente ridotta: l’istituto potrà procedere nell’Ops anche se otterrà una quota di Mediobanca inferiore al 50%.

L’amministratore delegato del Monte Luigi Lovaglio può dunque incassare un successo: così come avvenuto in altri casi, anche per Siena la vigilanza non ha posto una soglia minima per considerare valida l’offerta. La possibilità, dunque, che il Monte entri nel capitale di Mediobanca, è ora una prospettiva molto vicina. Dando per scontato che all’offerta aderiscano i due grandi azionisti dell’una e dell’altra banca, il costruttore Francesco Gaetano Caltagirone e la holding Delfin della famiglia Del Vecchio, che da anni mirano a mettere le mani su Mediobanca e Generali, il Monte si ritroverebbe in mano il 30%. Se a loro si unissero anche gli altri soggetti che, di recente, volevano astenersi o votare contro il piano alternativo proposto da Mediobanca, ovvero unirsi a Banca Generali, la quota di capitale che finirebbe Siena salirebbe al 43%.

Per il momento, tuttavia, le buone notizie per Lovaglio finiscono qui. Il provvedimento della Bce prevede tutta una serie di prescrizioni che fanno emergere come a Francoforte non siano sordi alle preoccupazioni espresse da più parti. Fino a novembre, quando con la vendita del 15% a Caltagirone, Delfin, Banco Bpm e Anima è uscito dalla procedura di aiuti di Stato – operazione su cui ora indagano sia la Commissione Europea che la procura di Milano - Mps aveva un’operatività ridotta, proprio per evitare che assumesse i rischi che avevano reso inevitabile il salvataggio di Stato.

Per questo la Bce ha chiesto garanzie, con piani dettagliati sul capitale, i presidi di controllo, le possibili perdite operative e così via. C’è un aspetto che ha sottolineato: «I mutamenti dell’assetto retributivo anche al fine di sviluppare adeguate politiche di retention per i professionisti chiave di Mediobanca». In parole semplici: il Monte avrà i quattrini per trattenere i banker che gestiscono i patrimoni delle più ricche tra le famiglie italiane?

Saranno questi gli aspetti sui quali, da oggi, dovrà lavorare Nagel per sperare che Mediobanca resti indipendente. In quel 43% del capitale che – tra contrari e astenuti - si è ritrovato contro nell’operazione su Banca Generali, ci sono soggetti che sulla carta – le Casse previdenziali Enpam, Enasarco Cassa Forense, che hanno investito nell’operazione le risorse dei loro pensionati, oppure UniCredit – non avrebbero alcuna convenienza a scambiare le loro redditizie azioni di Mediobanca, da sempre capace di garantire un’elevata remunerazione del capitale, con quelle molto più rischiose del Monte. Che, stando sotto il 50%, non potrebbe nemmeno usufruire del suo asset più sbandierato: i crediti fiscali per le perdite passate.

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