Decreto sicurezza: pene più severe, ma restano i dubbi sull’efficacia

La decisione del governo ha compattato magistrati, avvocati e camere penali: 14 nuove ipotesi di reato e condanne più pesanti per altri 9 reati, difficilmente applicabili

Bruno Cherchi
Il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi (Ansa)
Il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi (Ansa)

Il recente intervento del governo in materia penale ha sollevato numerose e diffuse critiche e dubbi di legittimità costituzionale e di effettiva capacità di raggiungere gli effetti per i quali è stato disposto. Si tratta delle norme contenute nel cosiddetto “pacchetto sicurezza”, introdotto con decreto-legge dell’11 aprile 2025 n. 48, e quindi immediatamente operativo senza che siano stati previsti nemmeno termini minimi di differimento per consentire la diffusione e la conoscibilità pubblica, se non la conoscenza, delle numerose novità introdotte.

Diversi i motivi di critica che sono stati sollevati in diversi interventi dai docenti universitari di diritto penale, dall’Associazione Nazionale Magistrati e dagli avvocati penalisti e che hanno anche indotto le Camere penali addirittura a indire l’astensione dalle udienze per i prossimi 7,8 e 9 maggio. Le osservazioni e i dubbi variamente sollevate in un così vasto campo di tecnici del diritto non può passare inosservato, sottolineando come le modalità, i tempi e il contenuto del decreto-legge abbiano avuto quale primo immediato risultato di compattare, come non accade spesso, tutte le rappresentanze istituzionali di coloro che, tutti i giorni, si occupano professionalmente di diritto penale.

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Carlo BertiniCarlo Bertini
Una panoramica dell’aula della Camera dei deputati durante una sessione di lavori

Il primo dato evidenziato dagli interventi è stato l’abnorme ricorso alla decretazione d’urgenza che, non nuovo male del nostro Paese, si estrinseca in questa occasione addirittura per la materia penale che, per la sua delicatezza legata alla limitazione della libertà personale, è sottoposta alla “riserva di legge” e quindi ai più meditati e approfonditi dibattiti tipici del confronto parlamentare.

Tanto più che da oltre un anno alle Camere era stato sottoposto un disegno di legge governativo con contenuti analoghi al pacchetto sicurezza, sul quale erano in corso i necessari approfondimenti in sede di commissione, ove si sono già svolte numerose e autorevoli audizioni che hanno offerto meditate analisi e pregevoli suggerimenti sulle singole norme. Come è stato osservato, appare lesivo del ruolo del Parlamento l’improvvisa sottrazione della materia attraverso una decretazione che risulta in contrasto con gli stessi presupposti che la legittimano nei soli casi di “necessità ed urgenza” (art. 77 della Costituzione), all’evidenza assenti nel caso in esame.

Ancora una volta viene esautorato il luogo a cui è assegnato il compito di legiferare, ormai destinato alla mera conversione in legge, in tempi contingentati quando non addirittura sottoposti al voto di fiducia, con palese vulnus della ripartizione delle competenze costituzionalmente previste dall’art. 72 della Costituzione tra Parlamento e Governo.

Non si è tenuto conto, optando per una decretazione d’urgenza, il monito della Corte costituzionale che in diverse occasioni ha segnalato come “il ricorso alla decretazione d’urgenza è sottoposto a precisi limiti” fissati allo scopo di non vanificare la funzione legislativa del Parlamento” ed è previsto “come ipotesi eccezionale regolato da regole e principi normativi” a cui il potere esecutivo è tenuto ad attenersi in ossequio ai principi di democrazia parlamentare previsti dalla Costituzione (sentenza n. 146/2024). Immediata conseguenza la probabile sottoposizione del decreto al giudizio della Corte costituzionale che potrebbe rilevarne l’incostituzionalità.

Ulteriori criticità sono ravvisabili nel contenuto del decreto-legge che ha introdotto ben quattordici nuove ipotesi di reato e aggravato le pene previste per altri nove reati che, anche paragonati ad ipotesi di reati analoghi, risultano non proporzionati e difficilmente giustificabili in quanto del tutto estranee ai principi, ancora una volta sanciti dalla Costituzione, di proporzionalità e di ragionevolezza.

La scelta di ritenere possibile che la sicurezza dei cittadini possa essere garantita facendo affidamento sulla sola legislazione penale è stato da tempo segnalato come illusorio da più parti, ma è anche di comune esperienza visti i concreti risultati di analoghi interventi operati anche nel passato recente. Approfonditi studi pubblicati, non solo in Italia ma anche all’estero, hanno evidenziato come la creazione di nuovi reati o l’inasprimento delle pene non garantiscono maggiori livelli di sicurezza in quanto indifferenti alle cause che determinano le diverse forme di criminalità che intendono contrastare.

Come insegna il passato da un lato è altamente probabile che anche in questa occasione non si raggiungeranno gli obiettivi di maggior sicurezza per cui il decreto-legge è stato predisposto, dall’altro sono invece del tutto certe almeno due conseguenze sicuramente negative, che le previsioni contenute nel decreto porteranno.

La prima relativa al sovraffollamento carcerario che, in assenza di investimenti in nuovi istituti di detenzione e nell’adeguamento del personale di custodia, andranno ad aggravare la già drammatica situazione degli attuali istituti di pena dove nel 2024 si sono registrati, fra l’altro, 90 suicidi e nei primi mesi di quest’anno sono stati 27 i detenuti che si sono tolti la vita.

La seconda negatività deriverà dalle opzioni contenute nell’intervento legislativo producendo ulteriori rallentamenti nella definizione dei processi penali, già in ben noto stato di inaccettabile sofferenza per la pluriennale carenza di magistrati e di personale amministrativo, che non consentono da tempo un regolare e tempestivo accertamento dei fatti e delle singole eventuali responsabilità.

Una scelta, quella contenuta nel “decreto-sicurezza”, che già nella individuazione del titolo di riferimento sembra più destinata a dare all’opinione pubblica l’illusoria percezione di un apparato normativo diretto a creare migliori condizioni di “sicurezza” senza che in realtà, in una più attenta visione prospettica, si sia operato per risolvere davvero l’effettiva esigenza di corretta convivenza sociale pur sentita come reale problema nella quotidiana esperienza di tutti.

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