Intesa sui dazi: ecco i vantaggi per tutti

La tariffa reciproca Usa-Ue del 10% è più che doppia rispetto al valore medio precedente: ma l’impatto economico potrebbe non essere così rilevante

Giancarlo CoròGiancarlo Corò
Il presidente americano Donald Trump (Epa)
Il presidente americano Donald Trump (Epa)

La trattativa sui “dazi reciproci” tra Stati Uniti e Unione europea si trova in una fase di stallo. Diciamo subito che una guerra commerciale tra le due sponde dell’Atlantico sarebbe una sciagura, tanto più in un mondo già lacerato da conflitti e tensioni geopolitiche. Sarebbe tuttavia sbagliato piegarsi a imposizioni unilaterali pur di raggiungere un qualche accordo. Per una materia come il commercio internazionale, per sua natura multilaterale, è fondamentale avere un quadro di regole e istituzioni in grado di garantire certezza agli scambi.

L’incertezza genera costi enormi. Secondo l’ultimo rapporto della Banca Mondiale, la differenza tra le previsioni del Pil mondiale prima e dopo l’annuncio di Trump sui dazi è stato valutato in circa mille miliardi di dollari in meno al 2026. A pagare il prezzo maggiore sarebbero proprio Europa e Stati Uniti, considerato l’alto livello di interdipendenza economica. Ma un prezzo pesante sarebbe pagato anche dai Paesi più poveri, per molti dei quali, data la ristrettezza del mercato interno, la domanda estera è spesso vitale.

L’Unione europea non è mai stata terra di dazi
La redazione
(foto Epa)

Ne risentirebbe invece meno la Cina, il cui contenimento sembrava il principale obiettivo della guerra commerciale di Trump. L’economia cinese, dopo decenni di accumulazione di capitale produttivo, tecnologie e know how, sta infatti mostrando una notevole capacità di tenuta. Nonostante le barriere all’importazione di prodotti cinesi negli Usa si siano attestate, in base all’ultimo accordo bilaterale, sulla ragguardevole quota del 55%, l’export totale della Cina non accenna a ridursi, rischiando di travolgere le industrie di altri Paesi.

Un accordo Usa-Ue, nel rispetto di un sistema di regole multilaterali, potrebbe così contribuire a creare un’area di interscambio che, nel complesso, vale il 45% del Pil mondiale, in grado di stabilizzare i mercati e sviluppare economie di scala in industrie strategiche – automotive, farmaceutica, elettronica, alimentare, green – oggi sottoposte alla pressione competitiva della Cina. La tariffa reciproca Usa-Ue del 10%, su cui sembrava convergere la trattativa, è più che doppia rispetto al valore medio precedente. L’impatto economico potrebbe tuttavia non essere così rilevante. La tariffa incide infatti sul valore dei beni all’importazione, non sul prezzo finale di vendita, rendendola perciò sostenibile per prodotti dove il valore del brand e della qualità manifatturiera continua ad avere un ruolo importante.

Anzi, un aumento contenuto dei prezzi può stimolare l’innovazione e la ricerca di maggiore efficienza. In alcuni casi può promuovere anche forme più evolute di internazionalizzazione – come investimenti diretti, licenze e partnership estere – che contribuiscono ad accrescere la produttività e la domanda di lavoro qualificato nella base domestica. Inoltre, le barriere commerciali non sono soltanto di tipo tariffario, ma riguardano anche regolamenti tecnici e sanitari, spesso congegnati per proteggere i produttori più che tutelare i consumatori.

Secondo i negoziatori Usa sarebbe proprio questo l’ostacolo maggiore all’accordo. Se allora si riuscisse a mettere mano a questo tipo di barriere – presenti soprattutto nell’industria alimentare – aumenterebbero i vantaggi di un mercato allargato, all’interno del quale sviluppare economie di scala e specializzazione a beneficio di entrambe le economie. 

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