Guerra in Medio Oriente, l’obiettivo di Netanyahu è rovesciare il regime in Iran

Israele vuole liberarsi del Paese-guida dell’Asse della Resistenza. La Repubblica Islamica rischia anche il riacutizzarsi delle proteste sociali alimentate dall’esterno

Renzo Guolo
La bandiere iraniani sventolano nelle strade di Teheran dopo la reazione del regime all'attacco israeliano
La bandiere iraniani sventolano nelle strade di Teheran dopo la reazione del regime all'attacco israeliano

L’attacco all’Iran segna un deciso salto di scala nel conflitto mediorientale. Nel mirino di Israele finiscono non solo i siti nucleari e gli scienziati iraniani ma anche la catena di comando della Repubblica Islamica. Tra le vittime delle eliminazioni mirate, preparate dal Mossad, ci sono il capo dei Pasdaran Salami, il capo di stato maggiore delle forze armate Bagher, il consigliere politico di Khamenei, Shamkhani.

Ma ciò che è più rilevante è che entrambi i contendenti parlano ormai apertamente di guerra, non più, come lo scorso anno, di operazioni e rappresaglie. Differenza non solo nominalistica ma di pregnante significato politico e militare.

Colpendo l’Iran, infatti, Netanyahu non si propone solamente di interrompere la corsa di Teheran al nucleare, nella quale peraltro ha giocato un ruolo essenziale, convincendo il primo Trump a uscire dall’accordo firmato da Obama che consentiva un certo controllo sull’arricchimento di uranio da parte dell’Aiea. In realtà, Bibi, e con lui i suoi partner governativi, sembrano puntare alla caduta del regime iraniano, ritenuto una minaccia per la sicurezza di Israele ma anche un ostacolo alla sua politica annessionista. Non è escluso, infatti, che l’acutizzarsi del conflitto possa provocare ingenti danni materiali ed economici all’Iran e sfociare, se il regime non riuscirà a risvegliare nella popolazione lo spirito patriottico, nel riacutizzarsi del dissenso esploso con la “rivolta del velo”. Tanto più se questa venisse sostenuta dall’esterno.

Israele riuscirebbe così sventare il pericolo nucleare e, allo stesso tempo, liberarsi del Paese-guida dell’Asse della Resistenza. Condizione che, in accordo con l’America di Trump, gli consentirebbe di cercare di ottenere il controllo di Gaza e l’annessione di parte rilevante della Cisgiordania occupata. Per Washington, invece, ci sarebbe l’ok definitivo dei sauditi, liberi del fantasma iraniano, agli Accordi di Abramo.

Che possibilità ha Teheran di opporsi a un simile scenario? L’Operazione Leone Nascente ha mostrato, ancora una volta, che l’aviazione israeliana riesce a penetrare senza problemi le difese aeree iraniane e che il livello di infiltrazione del Mossad, già evidente nella vicenda Hanyeh, è elevato. La reazione della serata di venerdì 13 giugno con la pioggia di missili, destinati in parte a essere intercettati dallo scudo Iron-Dome, non sembra destinata ad avere particolare impatto militare.

Il regime ha un’altra opzione per sopravvivere: piegarsi alla pressione di Trump – che ha definito” eccellente” l’attacco e prospettato il peggio agli iraniani, nel caso non accettassero la sua proposta d’accordo – rinunciando al nucleare, anche quello civile: ma in tal caso la Repubblica Islamica apparirebbe, davvero, una “tigre di carta”, incapace di difendersi. Dicono i duri a Teheran: se ora facciamo queste concessioni, le prossime che ci chiederanno cosa riguarderanno? Difficile, intanto, che sotto attacco, l’Iran decida di andare a discutere del nucleare in Oman con gli Usa.

Così il regime pare rassegnarsi alla “guerra lunga”. Un tipo di conflitto in cui una massiccia campagna di bombardamenti e le sofisticate operazioni di intelligence dello Stato ebraico, potrebbero mettere, socialmente e economicamente, all’angolo il Paese, intaccandone drasticamente il livello di vita e di sicurezza. Criticità che, sapientemente alimentata da fuori, potrebbe anche sfociare nella ripresa delle proteste di massa: sino allo sbocco insurrezionale mirato al dissolvimento del regime. Per contenere un simile rischio, il potere cercherà di far leva sull’orgoglio nazionale degli iraniani che mal sopportano le coercizioni esterne. Ma dopo la “rivolta del velo”, il “sistema” è delegittimato, pur godendo ancora di consenso in parte della popolazione.

Per sfuggire alla morsa di Israele e dell’America, l’Iran potrebbe spostare il conflitto sul terreno non convenzionale, attivando strategie mirate a mettere in crisi le alleanze di Israele e gli Usa, dentro e fuori il Medioriente. Innescando una guerra asimmetrica senza confini destinata a provocare un’instabilità tale da costringere i paesi solidali con Israele a mettere in campo soluzioni diplomatiche che non lascino totale margine di manovra a quello che a Teheran viene ormai, specularmente, percepito come il Nemico esistenziale. In ogni caso, si apre una fase assai difficile. 

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