I partiti in ostaggio dei super governatori

Ai leader si oppongono governatori così forti da influenzare le scelte sui loro sostituti: i potenziali riflessi di un sistema iper presidenzialista

Carlo BertiniCarlo Bertini
Luca Zaia, governatore uscente del Veneto
Luca Zaia, governatore uscente del Veneto

Forse nel 1995 Pino Tatarella, testa pensante della destra finiana, non immaginava che la sua norma per fare eleggere i governatori dal popolo sulla falsariga dei sindaci avrebbe generato creature con superpoteri tali da rivoltarsi, una volta estromessi dal campo di gioco, contro i loro progenitori, cioè i partiti che li avevano espressi. E invece una rivoluzione legislativa – recepita in Costituzione nel 1999 – mirata ad assegnare maggiore autonomia decisionale ai presidenti di regione ha prodotto un ulteriore indebolimento dei partiti politici.

A leader nazionali che vorrebbero decidere le candidature alle regionali nelle stanze romane con logiche spartitorie, si oppongono governatori così forti nelle loro terre da influenzare le scelte sui loro sostituti. Come tanti proconsoli di epoca romana, o meglio, tanti Ghino di Tacco che costringono i partiti a genuflettersi sotto le loro roccaforti e a pagare pegno.

Il centrodestra e la conquista del potere nel Nord Italia
Carlo BertiniCarlo Bertini
Giorgia Meloni e Matteo Salvini

Ora, se la figura del brigante gentiluomo che Eugenio Scalfari accostò a Bettino Craxi per sbeffeggiarne il vizio di smontare i patti tra cattolici e comunisti si attaglia solo in parte al nome di Luca Zaia, il paragone calza a pennello per il suo omologo Enzo De Luca.

Zaia è capace di gelare con la minaccia di una sua lista individuale i tre leader di governo, Meloni, Tajani e Salvini costretti a rinviare il vertice decisivo sulle regionali proprio per la mancanza di un’intesa con il Doge sul Veneto. Il presidente della Campania De Luca invece da mesi tiene sulle corde due partiti, Pd e 5Stelle, senza svelare le sue reali intenzioni e bocciando un giorno sì e un giorno no, il futuro candidato da loro prescelto, Roberto Fico.

Pretendendo che il prossimo presidente sia il suo vice attuale, Fulvio Bonavitacola. C’è il governatore della Puglia, Michele Emiliano, che a dispetto del diniego del candidato a succedergli, Antonio Decaro, terrorizzato di trovarselo tra i piedi, vuole candidarsi al consiglio regionale con una sua lista.

Una sua lista personale potrà minacciarla tra due anni anche Massimiliano Fedriga, cui sarà impedito di ricandidarsi in Fvg per il no al terzo mandato che ormai riguarda tutti. E che forse è alla radice di queste vendette dei super governatori della stagione 4.0.

Un vecchio nemico di Zaia come Flavio Tosi nota che “non si è mai vista una lista dei governatori uscenti, ma solo di quelli entranti”. E un tipo schietto come il presidente del Senato Ignazio La Russa è sbottato, richiamando all’ordine e alla disciplina chi è iscritto ad un partito: “Io non mi sono mai sognato di fare una lista La Russa!”.

Una lista Zaia in effetti produrrebbe un contraccolpo abnorme: se facesse il pieno dei voti surclassando le liste dei partiti, agli uomini del Doge andrebbero più seggi in consiglio regionale di quelli del vincitore e diversi assessorati nella giunta del governatore eletto. Insomma resterebbe lui a dare le carte: esito più che mai probabile, in grado di impensierire i partiti di centrodestra.

I loro leader, alla luce di tutto ciò, dovrebbero riflettere bene sui potenziali riflessi di un sistema iper presidenzialista: anche se il premierato non passerà, cosa potrebbe innescare nel sistema dei pesi e contrappesi previsto dalla Costituzione, una legge elettorale con il premier indicato nella scheda e i partiti ridotti a portatori d’acqua al suo mulino?

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