Sui migranti è un dare-avere tra Unione Europea e Italia
L’Ue si impegna a pescare nella cassa comune per sostenere l’amministrazione nazionale, ma chiede in parallelo che si onorino appieno le regole per l’accoglienza, accettando il principio secondo cui la nostra frontiera è confine comunitario

L’Europa farà l’Europa, se l’Italia farà l’Italia. Il rapporto della Commissione Ue dopo il primo ciclo annuale di gestione del nuovo Patto sui Migranti offre piena solidarietà a Roma, riconoscendo gli «obblighi sproporzionati» a cui ha dovuto sottoporsi in questi anni.
L’Unione si impegna a pescare nella cassa comune per sostenere l’amministrazione nazionale, ma chiede in parallelo che si onorino appieno le regole per l’accoglienza, accettando il principio secondo cui la nostra frontiera è confine comunitario, nei confronti del quale abbiamo la responsabilità di vigilanza e controllo per conto del club a dodici stelle. Bruxelles, si assicura, è pronta a recitare la sua parte. Ma si attende che ogni governo - anche quello guidato da Giorgia Meloni – abbia il medesimo abbrivio.
L’interesse collettivo impone di guardare in valore assoluto, senza pregiudizi o dogmi politici, al dramma delle genti in fuga da guerre, carestie e catastrofi politiche che sbarcano sulle coste continentali. I numeri offrono qualche conforto. Da luglio 2024 a giugno 2025, il flusso globale di richiedenti asilo si è asciugato del 25% e, sulla rotta del Mediterraneo, gli ingressi sono calati da 120 a 70 mila. Vuol dire che andiamo meglio, sebbene la situazione resti pesante e le soluzioni complesse, al punto che la Commissione decreta che Italia, Cipro, Malta e Spagna potranno accedere alla Riserva di solidarietà non appena il nuovo Patto entrerà in vigore, a metà 2026. Esso prevede il ricollocamento dei migranti in un altro Stato membro, l’erogazione di fondi per gestire le procedure, e il dislocamento di equipaggiamenti e personale per far funzionare le disposizioni di accoglienza.
Il segno è che non siamo soli davanti al movimento migratorio. Soprattutto, almeno su carta, non dovremmo più esserlo. La Commissione intende formare pool di solidarietà ai quali i Ventisette potranno partecipare accogliendo una quota di migranti, oppure versando 20 mila euro per ogni persona assegnata dal Piano e non ricevuta in casa. In sostanza, si partecipa alla redistribuzione oppure si paga. È un’idea vecchia che ora diventa cogente nel quadro della riorganizzazione generalizzata dell’operatività di frontiera e delle relazioni con i Paesi di transito e no.
Attenzione, però. Il commissario per le Migrazioni, l’austriaco Magnus Brunner, pianta un paletto inevitabile. «L’Italia ha diritto al meccanismo di solidarietà – avverte -, ma deve rispettare gli obblighi previsti dal Patto in termini di responsabilità, i due aspetti vanno di pari passo».
Non fa una piega. Se si rifiuta il Trattato di Dublino per quanto disfunzionale sia (pratiche e controlli allo Stato del primo sbarco in concerto con l’Ue), non si potrà pretendere che gli altri attuino le norme che ci sostengono (Belgio e Paesi Bassi ci hanno messo già nel mirino).
Le migrazioni sono un fenomeno epocale che non finirà in un weekend o in una legislatura. Non si possono alzare muri in mezzo al mare, né cavarsela con un «fuori dalle palle». Ha più senso ascoltare Leone XIV che auspica solidarietà e giustizia, poi essere efficienti ed etici nella pratica quotidiana. La risposta sta nell’ottemperare alle regole esistenti. Se ognuno farà ciò che deve e può, l’Italia come i partner europei, si imboccherà il sentiero di una possibile prima normalizzazione della crisi. In caso contrario, scordiamocelo proprio.
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