Brunetta e Fico i due campioni delle gaffes

Entrambi capaci di scatenare la furia del popolo anti-casta con due mosse un tantino imprudenti: frutto, a seconda dei giudizi, di ingenuo candore o di indomito sprezzo del pericolo

Carlo Bertini

Se non fosse che la scena politica italiana regala plot di rara poesia, si stenterebbe a credere a storie come queste, intrecciate da un unico filo. Rosso, come i volti imbarazzati dei protagonisti: il ciclonico Renato Brunetta e il freddo e compassato Roberto Fico.

Entrambi capaci di scatenare la furia del popolo anti-casta con due mosse un tantino imprudenti: frutto – a seconda dei giudizi – di ingenuo candore o di indomito sprezzo del pericolo. Specie perché compiute in un contesto che sconsiglierebbe di alimentare antipatia e sdegno verso la cosiddetta Casta dei politici, per non produrre terreno fertile alla piaga dilagante dell’astensionismo.

Piaga che un Parlamento ridotto a mero esecutore del volere dei governi (più di 100 voti di fiducia chiesti da Meloni per far passare le sue leggi, bypassando le Camere) contribuisce a infettare; ma pure chi dimentica di vivere sotto i riflettori di un’occhiuta pubblica opinione pronta a sbraitare sui social potrebbe evitare certi scivoloni.

Quindi, dando per buona la definizione coniata da Massimo D’Alema che «la politica è un ramo specialistico delle professioni intellettuali», risulta difficile pensare che uno del calibro di Brunetta (capace di dire «ho molti amici vincitori del Nobel e non sono più intelligenti di me») non abbia intuito che poteva essere poco opportuno aumentarsi lo stipendio di 60 mila euro come capo del Cnel, organismo che dieci anni fa stava per essere abolito.

Per carità, aumento perfettamente legittimo dopo la sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale il limite di 240 mila euro l’anno per le retribuzioni dei dipendenti pubblici. Ma che il primo ad approfittarne fosse proprio l’ex ministro della Pubblica amministrazione fa già un certo effetto. Lo stesso che sferzava i sindacati difensori di privilegi e strattonava i “fannulloni” strapagati propugnando risparmi a raffica per le casse dello Stato. Ma fa ancora più effetto se si aumenta la retribuzione chi oggi guida un organismo come il Cnel, luogo di convegnistica e dotte discettazioni, sulla cui utilità – preziosa ai tempi di Giolitti per promuovere leggi di impatto sociale – già nel 1977 nutriva dubbi Giulio Andreotti.

Si dirà, tutte sopracciglia alzate in una ventata di demagogia, la legge lo consente ed è giusto adeguarsi. Bene, ma allora perché fare marcia indietro al primo stormir di fronda? Evidentemente, sotto il profilo politico era opportuno un rapido “ravvedimento operoso” per annullare la delibera sub judice: che comportava un incremento non solo per il presidente, ma anche per vicepresidenti, consiglieri e membri dello staff, con un effetto a cascata per le casse dello Stato.

E in tutto questo cosa c’entra l’ex grillino Fico, che voleva dedicare la festa della Repubblica a migranti e rom, emblema di un populismo di sinistra? Ebbene, il candidato alla Regione Campania, che volle raggiungere Montecitorio in autobus nel suo primo giorno da presidente della Camera, ha pensato bene di piazzare la sua barca in un’area militare a Nisida, usufruendo così di un privilegio che non gli è più dovuto: con il bel risultato in piena campagna elettorale per le regionali, di farsi pizzicare e accusare dalla destra di «ormeggio abusivo di un gozzo da 200 mila euro».

E di farsi ridere dietro nella sua Napoli, dove da giorni non si parla d’altro. L’anti-politica ringrazia, il populismo qualunquista pure. Eterogenesi dei fini. C’è altro da aggiungere? Forse no.

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