Trump rilancia lo scontro con l’Europa: dazi, armi e diktat contro la UE

Tra minacce economiche e pressioni militari, la nuova sfida americana impone all’Unione Europea una risposta politica forte e unitaria. Ma Berlino e Roma remano in direzioni opposte

Renzo GuoloRenzo Guolo

La decisione di Trump di imporre alla UE dazi al 30 per cento, così come quella di riprendere le forniture di armi all’Ucraina facendole pagare alla Nato – dunque, in buona parte, agli stessi europei-, toglie ogni residua illusione, se mai ve ne fossero state, sulla possibilità di dirimere senza strappi le divergenze con The Donald.

La farsesca, e drammatica, missiva inviata dal tycoon a Bruxelles, certifica che per l’America di oggi non esistono alleati o amici, solo paesi ai quali si dettano condizioni. Il tutto con muscolari e minacciosi atteggiamenti, mirati a disorientare gli interlocutori e incassare ciò che l’America esige.

Di fronte a simili esibizioni di arroganza – esemplare, in tal senso, l’intimazione alla UE a non reagire ai nuovi dazi, pena un loro ulteriore inasprimento –, l’Europa dovrebbe prendere atto del drastico mutamento intervenuto nelle relazioni transatlantiche, riducendo al più presto la dipendenza politica, economica, energetica e militare da Washington e marciando verso una maggiore integrazione.

Ma altre scelte e urgenze incombono a breve. La UE ha, sin qui, tenacemente perseguito la via della trattativa: la risposta Usa è stata un ennesimo rilancio. Taluni, per codismo o sintonia politica, sperano ancora in una nuova elargizione ribassista ma sono rassegnati a cifre più alte del già annunciato, e sperato, 10%. Nel frattempo la debole Von Der Leyen compra tempo e sospende i controdazi sino al 1 agosto. Servirà?

Tra poche settimane Bruxelles dovrà, comunque, scegliere se lasciarsi piegare o rammentarsi che l’economia europea è più grande di quella americana. Certo, rispondere adeguatamente è costoso, a breve, ma almeno politicamente produttivo. Farebbe capire alla Casa Bianca come non tutti siano proni a simili ingiunzioni di potenza.

Del resto, questo è il solo linguaggio comprensibile al “gangsterismo politico” – così due importanti storici degli Stati Uniti sull’attuale clima politico americano-, ormai dominante nel fantasmagorico Boardwalk Empire impiantato in riva al Potomac. La Cina lo ha già “parlato”. Certo, Pechino ha una diversa capacità di contrattazione, ma a muoverla è anche la convinzione che cedere a Trump non garantisce nulla, tanto meno per il futuro.

Dunque, se come pare, il presidente Usa non farà marcia indietro – inutile illudersi su miracolosi round negoziali o sperare in una versione continentale della via britannica, fondata su esenzioni per settori: non sono ragioni economiche ma strategiche, quelle che consentono l’intesa tra Usa e l’extra-europea Gran Bretagna –, sarà meglio varare contromisure all’altezza della sfida.

Potrebbero, quanto meno, concorrere al tramonto del trumpismo: a partire da quelle elezioni di mid term che molti auspicano possano ridurre “anatra zoppa” l’egolatrico Superman alato alla Casa Bianca.

Una partita alla quale l’Europa può partecipare andando a vedere il gioco dello spregiudicato pokerista tornato al 100 Pennsylvania Avenue: lasciando che anche i suoi controdazi facciano da volano all’inflazione americana e contribuiscano a far salire, metaforicamente, quel “prezzo delle uova” che tanto ha penalizzato Biden. Oltre che rimettendo mano alla tassazione sui profitti delle big tech, già inutilmente immolata sull’altare sacrificale del “gesto di buona volontà” verso l’irascibile tycoon, che la Silicon Valley in versione trumpiana, teme come la peste.

Riuscirà a farlo una UE frastornata, minata da molteplici fratture interne? A muoversi in direzione opposta sono, tra gli altri, la Germania di Merz, che spinge la Commissione a negoziare per tutelare in primo luogo i propri comparti economici, e l’Italia di Meloni che, nel tentativo di tenere aperto, in nome di affinità ideologiche, un illusorio “ponte” con Trump, non riesce a occultare il suo sovranismo cedevole, pro domo altrui, dannoso sia per gli interessi europei che per quelli nazionali. 

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