Se l’autocritica è un autogol
L’autocritica è sempre una salita, una fatica da affrontare, non un gesto gratuito da compiere in scioltezza: solo così può fare la differenza

Se osserviamo la situazione attuale non è difficile accorgersi che la cosiddetta “autocritica” – il criticare se stessi – viene normalmente considerata qualcosa da evitare. Si pensa che produca danni e nessun vantaggio.
Qualcosa di simile a ciò che nel gioco del calcio si chiama “autogol”: anziché riuscire a mandare il pallone nella rete avversaria, spedirlo senza volerlo nella propria producendo un danno e anche uno sconcerto ai compagni di squadra e a se stessi.
Un’immagine, questa dell’autogol, che risulterebbe dunque completamente negativa se la riconducessimo all’autocritica. Come dire: se l’autocritica assomiglia davvero a un autogol, allora molto meglio non praticarla, tenersi il più lontano possibile da essa.
Può dunque sembrare privo di senso o comunque paradossale quello che sto per scrivere, e cioè che l’autocritica può essere sempre comparata a un autogol. Peggio ancora: che, se non riuscissimo a incrociare l’una con l’altro, l’intenzione di criticare se stessi si ridurrebbe a una pura e semplice intenzione senza risultato.
Ma non è solo questione di dover pagare un dazio al desiderio individualistico. Non si tratta solo di accorgersi che l’autocritica è sempre una salita, una fatica da affrontare, non un gesto gratuito da compiere in scioltezza. Ciò che ho chiamato qui “autogol”, per farne apparire il peso e il disagio, risulta qualcosa di paradossale, perché il suo significato sfora, va al di là della distinzione tra positivo e negativo.
Qui l’autogol rappresenta nientemeno che la possibilità grazie alla quale l’autocritica smette di essere una parola volatile, un flatus vocis, per diventare effettivamente un gesto in grado di produrre effetti tanto su chi riesce a compierlo quanto su coloro ai quali viene rivolto.
Ma è opportuno analizzare con attenzione tale paradossalità: cosa comporta in chi riesce a praticarla e che effetti produce (o può produrre) su coloro ai quali viene rivolta? È utile poi (cioè, ogni volta) cercare di capire quanto considerazioni di questo genere intaccano, mettono in discussione, l’idea ovvia di soggettività, quell’idea che di solito prendiamo per buona e che facciamo circolare abitualmente quando ragioniamo su tale questione.
Che cosa vuol dire autocriticarsi? Davvero riusciamo a farlo? Sono domande che implicano il fatto che avvertiamo l’esigenza di mettere in discussione il nostro ego. Non è detto che accada, anzi di solito non avviene. Quando, però, ne avvertiamo il bisogno significa che ci stiamo rendendo conto che qualcosa non funziona.
È un segnale difficile da tradurre, basta solo riflettere sulla domanda che ci facciamo, cioè se viene da dentro o da fuori e quanto tale “fuori” riusciamo eventualmente a descriverlo. C’è sempre un fuori, un’alterità sulla quale il nostro io inciampa.
Se risolviamo questo inciampo traducendolo in un percorso senza ostacoli rischiamo di bloccare l’autocritica. Se, invece, gli diamo peso, la nostra autocritica si trova spiazzata rispetto alla sua spinta individualistica. Normalmente accade che tendiamo a ricomporre l’unità soggettiva che crediamo di possedere, così che il risultato del gesto autocritico possa, piuttosto, consistere in una conferma del nostro io.
Un’effettiva autocritica dovrebbe invece essere il contrario: dovrebbe riuscire a smontare il predominio dell’io, almeno a farlo oscillare, metterlo in dubbio. Se l’io può essere configurato come qualcosa di chiuso in se stesso, allora l’autocritica è una specie di trucco, di atteggiamento illusorio, di nutrimento fittizio perché la nostra soggettività non si indebolisca.
In realtà, è proprio da un simile “indebolimento” della soggettività che nasce un suo possibile rafforzamento paradossale. E il termine “paradossale” può segnalarci, al tempo stesso, l’apparente strettoia in cui veniamo a trovarci, come se dovessimo ragionare in controtempo rispetto all’immagine comune di pensiero. Sarebbe l’effettiva apertura che il paradosso può rappresentare per ciascuno di noi.
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