L’Ucraina, l’Ue e la trappola del piano di pace Usa
La proposta recepisce le più importanti richieste del Cremlino. Kiev non è la sola vittima in questa possibile capitolazione

L’Ucraina è la principale, ma non la sola vittima, del piano Trump per porre fine al conflitto tra Mosca e Kiev. Un vero e proprio piano di capitolazione, quello maturato durante gli esclusivi incontri tra l’inviato speciale della Casa Bianca Witkoff e quello del Cremlino Dmitrieff. Un’intesa che, nei fatti, recepisce le più importanti richieste avanzate da Mosca.
Tra queste: l’annessione dell’intero Donbass, compresi i territori rivendicati, ma non ancora conquistati militarmente da Mosca, il riconoscimento dell’appartenenza della Crimea alla Russia, la “cristallizzazione coreana” del fronte tra Kerson e Zaporizhzhia. Inoltre: la riduzione di almeno un terzo degli effettivi delle forze armate di Kiev e la limitazione di armamenti in grado di colpire in profondità la Russia, la non adesione dell’Ucraina alla Nato e l’impegno, che dovrà essere scolpito nella costituzione ucraina e nel trattato atlantico, a non dispiegare truppe di quell’organizzazione all’interno dei suoi confini. In compenso l’Ucraina potrà aderire alla Ue , che dovrà farsi carico , in maniera consistente, della sua ricostruzione.
Dunque, l’auspicabile fine della lunga e sanguinosa guerra che ha contrapposto due Paesi eredi dell’Urss, si farebbe anche a spese dell’Europa, in questi anni importante pilastro politico e finanziario, prima ancora che militare, del sostegno all’Ucraina. Del resto, nella logica di Donald Trump, così come in quella di Vladimir Putin, deciso a contenere il contrasto europeo al rinato nazionalismo granderusso, l’Europa va ignorata, se possibile umiliata.
Come l’ormai sacrificabile Ucraina, nemmeno l’Unione è stata consultata nel corso dell’ostinata intesa architettata nei labirintici meandri della Washington trumpiana e della Mosca neoimperiale. Il resto, come le generiche «affidabili garanzie» per l’Ucraina promesse dagli Stati Uniti, restano vaghi e sin troppo futuribili propositi.
Una capitolazione, quella insita nel piano Trump, che dovrebbe indurre gli europei a prendere atto del mutamento intervenuto nel rapporto con gli Usa. Fino a che The Donald resterà alla Casa Bianca - ma anche se gli succedesse il più giovane e ideologico Vance -, è impensabile che le relazioni transatlantiche, e il multilateralismo che ne era il logico corollario, tornino alla rilevanza del passato.
Il trumpismo, il Maga, ma anche fattori non contingenti come lo strutturale spostamento di baricentro geopolitico - la Grande Balena a stelle e strisce guarda più al Pacifico che all’Atlantico -, spingono l’America, animata da interessi e valori sempre meno condivisi con gli europei, su altre rotte. Constatazione che dovrebbe consigliare l’Europa a darsi una politica estera e di difesa comune, fondata non su irrealistici unanimismi, oltretutto vanificati da interessate quinte colonne sovraniste, ma su coese cooperazioni rafforzate.
Solo una simile prospettiva permetterebbe di non doversi necessariamente allineare con la potenza alla quale si è a lungo delegato, in un quadro storico e politico assai diverso, la propria sicurezza e con cui oggi non vi è più sintonia. Obiettivo più che mai urgente dopo la pax sacrificale imposta da Trump .
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