L’eredità olimpica 70 anni dopo

I Giochi del 1956 cambiarono in Paese: furono la prova generale che l’Italia stava rinascendo. E quelli del 2026? Serve coraggio: un’Olimpiade non trasforma un territorio,  è il territorio a trasformarsi, se lo vuole. Certi treni non ripassano

Andrea Ferrazzi *
L’eccezionale stile in slalom di Gustav Thoeni, uno dei grandissimi nella storia dello sci alpino italiano e mondiale
L’eccezionale stile in slalom di Gustav Thoeni, uno dei grandissimi nella storia dello sci alpino italiano e mondiale

Settant’anni fa Cortina visse dieci giorni che cambiarono un Paese. Non solo per le imprese sportive e le luci della ribalta mondiale, ma perché i Giochi del 1956 furono un laboratorio politico, economico e culturale: la prova generale dell’Italia che stava rinascendo. Lo racconta bene Andrea Goldstein nel suo nuovo, tempestivo, saggio “Cortina 1956”, appena uscito per Rubbettino.

Oggi Milano-Cortina 2026 bussa alla stessa porta. La nostra. E la domanda è inevitabile: abbiamo imparato le lezioni del ’56 o stiamo commettendo nuovi errori, con più budget ma con meno visione? A meno di cento giorni, la risposta non appare rassicurante. La storia insegna che l’Olimpiade non salva nessuno. Ma un territorio che sa “usarla” può salvarsi da solo.

Prima lezione: senza visione non resta nulla. Goldstein lo scrive chiaramente: il 1956 non portò a Cortina le infrastrutture sperate. La ferrovia rimase insufficiente e chiuse otto anni dopo. Le strade non vennero davvero potenziate. Il salto non avvenne perché mancava una strategia su “cosa diventare”. È il rischio che corriamo oggi. Non saranno cerimonie e pettorali a lasciare il segno: conterà il progetto di territorio che porteremo al 2026. Per ora, comunità e istituzioni sembrano attendiste, quasi indifferenti. Ma la fiaccola non aspetta. Il tempo sta scadendo.

Seconda lezione: il vero lascito è la fiducia. In un Paese che cresceva al 5-6% l’anno, il ’56 fu un’iniezione di ottimismo collettivo. Il contributo più duraturo delle Olimpiadi? La consapevolezza che l’Italia potesse realizzare progetti complessi, coordinando Stato, istituzioni locali, imprese e comunità. Una rivoluzione psicologica, prima ancora che materiale. Il paradosso è che oggi, con più mezzi, più competenze e più strumenti, quella stessa fiducia sembra evaporata. Ci muoviamo come se ospitare i Giochi fosse un peso, non un’opportunità. Ma senza fiducia istituzionale e sociale, nessuna infrastruttura — nemmeno la più avanzata — tiene insieme un territorio fragile. La tecnologia serve, ma da sola non produce sviluppo. La fiducia sì.

Terza lezione: il racconto vale quanto gli investimenti. Cortina ’56 creò un immaginario potente: le Dolomiti diventarono un brand globale, e settori come l’occhialeria — nota Goldstein — beneficiarono di quella luce. È una verità attuale: oggi le Olimpiadi si giocano anche sul campo della promozione, attraverso le narrazioni che il territorio saprà proporre al mondo. Se non produciamo contenuti, condivisi e innovativi, saranno altri a raccontare il nostro territorio.

Quarta lezione: un’Olimpiade è politica territoriale. Un grande evento può contrastare lo spopolamento, attirare investimenti, modernizzare servizi, riposizionare un’area interna. Ma a una condizione: considerarlo un acceleratore di sviluppo, non un fastidio amministrativo. La montagna non può più permettersi timidezze: servono infrastrutture, formazione, imprese innovative, politiche per attrarre nuovi residenti. Visione, non manutenzione dell’esistente. In una parola: coraggio.

E allora la domanda finale è: l’Italia del 1956 era più audace di quella del 2026? Allora si rischiò, oggi si teme di sbagliare. E si aspetta, chi o che cosa non si sa. Un’Olimpiade non trasforma un territorio. È il territorio a trasformarsi, se lo vuole. Certi treni non ripassano. Soprattutto in montagna, dove servono idee, strategia, futuro.

Il saggio di Goldstein racconta come Cortina (e la montagna) ha vinto la sua Olimpiade nel 1956. Noi ce la faremo nel 2026? La risposta, questa volta, non ce la darà la storia. Ce la daremo noi. —

* direttore di Confindustria Belluno Dolomiti

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