Caso Fincantieri, serve un punto di equilibrio: trovarlo è possibile

Una negoziazione ha senso se ci si muove davvero l’uno verso l’altro, non se si assumono posizioni senza transigenze

Fabrizio Brancoli

La miccia è stata un voto; perché è stato unanime. Unanimità quasi ostinata. Da quel voto del Consiglio comunale è partita la discesa in campo mediatico di Pierroberto Folgiero, con toni molto netti, senza diplomazie. Altre volte una parte politica a Monfalcone aveva alzato la voce, ma l’azienda non era entrata tra le corde del ring. Stavolta invece è successo, e il motivo è quella compattezza, quella tensione bipartisan. È raro che la politica locale riesca a scuotere un colosso industriale. Ma è successo. E la frattura aperta a Monfalcone è anche una storia che danza lungo un confine, quello che separa l’orgoglio territoriale e l’irrigidimento; l’investimento industriale e l’impatto sociale; l’indotto occupazionale e la sostenibilità di una presenza forte come quella del grande gruppo della cantieristica navale.

Dopo la seduta e l’unanimità, dopo una mozione dirompente, c’è stata la lettera che Folgiero ha affidato al Piccolo e ai quotidiani Nem per rivendicare il senso socioeconomico della scelta complessiva di Fincantieri su questa porzione determinante della costa adriatica. Il sindaco di Monfalcone ha poi lanciato un invito all’azienda, perché si presentasse in municipio. Ma per giorni, nelle stanze di Fincantieri, la linea era ferma: non andiamo dove ci hanno insultati, dandoci dei collusi.

Era la più classica rappresentazione della condizione di paralisi tattica, nota agli scacchisti: lo stallo. Su questo scacchiere è piovuta la mossa di Massimiliano Fedriga: l’istituzione di un “campo neutro”, un luogo dove ricominciare a parlarsi senza effetti dialetticamente corrosivi. Una trovata semplice, ma decisiva, quella del presidente della Regione, perché Fincantieri non avrebbe mai scalato i gradini del municipio.

Ora le condizioni per un confronto ci sono. Ma sarà una trattativa vera o una liturgia nervosa per attribuirsi colpe e parole? Una negoziazione ha senso se ci si muove davvero l’uno verso l’altro, non se si assumono posizioni senza transigenze.

Fincantieri dovrà mostrare un ulteriore approccio sociale, impegnarsi a essere vigile sui subappalti e sulle conseguenze umane del suo modello produttivo. È un’azienda che genera grande ricchezza ma sa bene che, in un modello di convivenza territoriale, servono anche altri messaggi. Da parte sua il Comune deve uscire dalla trincea e dialogare con toni diversi. L’atteggiamento aggressivo ora rischia di soffocare la possibilità stessa di costruire. A volte, chi non arretra di un passo, arretra di un secolo.

Poi c’è un’enorme insegna al neon, lampeggiante, accesa in un corridoio buio. Non si può non notarla. Anna Maria Cisint: non più sindaca, eppure al vertice delle politiche cittadine.

Quando Fedriga invita il Comune a un confronto con Fincantieri, invita Fasan: è il percorso dovuto. Ma dal Palazzo del Lloyd, sede della Regione, aggiungono: certo il sindaco potrà essere accompagnato da chi ritiene opportuno. Quindi potremmo vedere di nuovo Cisint seduta al tavolo. È da lei che era arrivata la scintilla che aveva acceso questo fuoco e stressato una relazione già di per sé complicata. C’è la storia del video con la testimonianza anonima di un lavoratore, trasmesso in consiglio comunale; le parole esplosive di Cisint riferite alle dinamiche di subappalto (parole come infiltrazioni, mafia, schiavizzazione, estorsione legata alle assunzioni e agli stipendi); con la promessa di portarlo “in commissione antimafia”. Ma non “in Procura”: perché? Se si confermasse che siamo davanti a stipendi inoltrati a un caporale, il quadro sarebbe serissimo e devono occuparsene le forze dell’ordine. La politica non deve fermarsi un passo prima: si vada dritti fino alla verità, con le denunce doverose.

Fincantieri ha già fatto sapere che è disponibile a prendere parte all’incontro promosso da Fedriga; questo è già importante. Ora, se sarà davvero un tavolo politico, bisognerà sedersi per costruire percorsi. In caso contrario resteremmo a guardare un conflitto che si ripete, come una marea che torna sempre allo stesso punto della banchina.

Monfalcone e Fincantieri si riconoscano non solo nei numeri e nei contratti, ma in una visione condivisa. Serve una stagione diversa nei rapporti. Una stagione dove non procedere a strappi. Una stagione nella quale l’industria non schiaccia la città e la città non demonizza l’industria. Trovare un punto d’equilibrio non è debolezza; è, semmai, l’atto più politico che si possa compiere. Ed è un atto possibile. —

 

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