Svolta a Fabrica: da pensatoio ad azienda di idee

Lavori in corso nella think tank dei Benetton. United Colors resta il core business ma in tre anni la rivoluzione sarà compiuta. Ecco come le divisioni Design, Social e Editor cercano clienti

La svolta di Fabrica è in atto. La creatura di Luciano Benetton, durante il breve ma prolifico “matrimonio” con quel genio creativo di Oliviero Toscani non è mai stata una fortezza. Almeno per sua stessa natura dato che negli ultimi due decenni ad animarla hanno pensato un migliaio di giovani provenienti da tutto il mondo quasi fosse una specie di Babele. Eppure, pur meravigliosamente integrata nella campagna di Catena di Villorba, tra villa Pastega Manera (dove ha sede Fabrica, che l’archistar Tadao Ando restituì a nuova vita nel 1994), e il resto del mondo, c’è sempre stata una certa distanza.
Ora questa creatura per molti ancora difficile da decifrare, compiuti i suoi primi vent’anni, ha deciso di aprirsi, attraverso un dialogo produttivo con il territorio (anche il più prossimo). Perché vivere di idee è possibile ma solo se queste danno un certo ritorno economico. E dipendere da un solo mecenate – nonostante corrisponda con il fondatore – è pur sempre rischioso.
Lavori in corso
Fabrica, attraverso cui dall’inizio degli anni Novanta ad oggi sono transitati almeno ottocento talenti creativi, è pronta a diventare azienda di idee: punta nel giro dei prossimi tre, massimo cinque anni, a far sì che la metà del suo fatturato provenga da lavori commissionati da aziende, nazionali e internazionali. Oggi rappresentano circa il 30 per cento del business totale, ma è una situazione che si evolve «febbrilmente», come dice Carlo Tunioli, per anni uomo Benetton negli States, da ottobre 2014 amministratore delegato di Fabrica. La restante fetta della torta è garantita da Benetton Group, di cui Fabrica fa parte.
I colori uniti rimangono oggi il core business. «Per il gruppo, Fabrica si occupa della comunicazione, intesa nelle più diverse declinazioni», spiega Tunioli, «dalle campagne, all’individuazione delle nuove tendenze». Ma da una manciata di anni a questa parte, i tre dipartimenti in cui è suddivisa Fabrica (Design guidato da Sam Baron, Social da Erik Ravelo e il settore Editor da Enrico Bossan) hanno iniziato ad interfacciarsi con committenti esterni che commissionano campagne di comunicazione, linee di arredamento, l’organizzazione di eventi, vere e proprie opere d’arte. Lavori per i quali Fabrica incassa compensi e royalties. Per l’ultima design week milanese Fabrica si è occupata dell’evento al Fuori Salone di Airbnb: Housewarming, un’installazione interattiva a palazzo Crespi sul significato dell’accoglienza realizzata da 19 artisti.
La squadra dei designer
I designer di Fabrica hanno poi realizzato – e già presentato – una collezione di sedie per Piaval, azienda di Gorizia. È in corso una collaborazione con lo specialista vicentino del vetro Massimo Lunardon. «Quest’anno saremo alla design Miami a Basilea con una collezione di 15 opere in vetro, realizzate dai nostri designer, in collaborazione con una galleria d’arte svizzera di Zurigo e Lunardon appunto», spiega Tunioli. Tra i clienti ancora la lombarda Seletti, Bosa, Daikin. Ma anche le istituzioni locali: T2i, giovani imprenditori, Unindustria Treviso, l’università Ca’ Foscari. «Perché non ci vuole un genio per comprendere quali saranno i business del futuro: health e education. Stiamo lavorando su quest’ultimo punto, attraverso una stretta collaborazione con l’università Ca’ Foscari. Ospiteremo un modulo del loro master in Digital & Design Strategy Innovation, qui nel nostro campus, in programma e in fase di definizione anche una “scuola” estiva per coloro che hanno già conseguito il master». Per quanto riguarda le voci che puntualmente tornano alla ribalta sulla possibile vendita di Fabrica, Tunioli scuote la testa. «Al momento niente di tutto ciò». Intanto nell’arena che Ando ha scavato sotto il livello del terreno si svolgono incontri, così come nella sala del seminario: gli ospiti invitati a tenere letture e conferenze arrivano da tutto il mondo. Una biblioteca custodisce migliaia di testi, moltissimi fotografici. Naturale oggi paragonare Fabrica a un moderno incubatore. La creatura di Luciano Benetton però non sforna start up. Trasforma in realtà le idee dei suoi borsisti, o li fa lavorare ai progetti ideati dai responsabili del settore, ora sempre più su commissione. Fabrica è stata la creatura di un visionario, quando internet non era ancora praticamente fruibile. Fu dirompente, con quello stile provocatorio delle origini, firmato Olivieri Toscani. Fabrica è diventata maggiorenne da un pezzo, non senza acquisire un po’ di maturità, pare più riflessiva.
Questione di dna
Ma il dna non si cambia, e quell’aspetto di rottura continua ancora ad emergere nella produzione che fa più parlare del settore campagne sociali. Come la campagna “Mamma beve, bimbo beve” realizzata per l’Usl 9 contro l’uso di alcol in gravidanza. E ancora: il progetto Facing in supporto a Smile Again, per aiutare le donne sfigurate dall’acido. O ancora la performance «For the Disappeared», organizzata a Venezia per ricordare i 43 studenti messicani scomparsi più di un anno fa. E poi c’è Colors, lo storico magazine di Fabrica (Patrick Waterhouse è il caporedattore), recentemente celebrato con un volume unico, in collaborazione con Damiani, che raccoglie tutte le novanta uscite.
Francesco Bonami, in una nota introduttiva scrive: «In un mondo abituato a confrontarsi con un flusso di immagini provocatorie come quello di oggi, una rivista come Colors appare irrilevante. Nel 1991, quando vivevo a New York, il lancio di Colors era a dir poco miracoloso. Non è un’esagerazione, dire che in quel momento, Colors era il magazine da leggere».
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