Storie di startup, dove la soluzione ai problemi è la scintilla d’impresa

Non solo grandi aziende. L’innovazione è sempre più spesso di casa anche nelle piccole imprese. Startup nate da un’intuizione, dalla necessità di trovare una soluzione a un problema pratico, moderna versione dell’italian ingegno che ieri, alla presentazione di Top 500, ha preso le sembianze di due casi aziendali unici: Orto in tasca e Solenica. A presentarli, moderate dal vicedirettore del Messaggero Veneto, Paolo Mosanghini, due giovani donne, Eva De Marco e Diva Tommei.
Storie diverse le loro, per ambiti, competenze, soluzioni. Accomunate però dallo stesso guizzo, la soluzione al problema che diventa scintilla d’impresa e materializza la possibilità di un futuro che prima non c’era. Entrambe di quell’occasione hanno fatto tesoro e dato gambe a due realtà che oggi camminano spedite. La friulana Eva De Marco, ingegnere civile di formazione, è la titolare di Orto in tasca, la App che consente di comprare frutta e verdura a km 0 e farsela recapitare a casa.
«L’impresa è nata da una mia esigenza – ha raccontato ieri –: riuscire a trovare aziende agricole del territorio a portata di smartphone. Così è nata la App che geolocalizza le aziende e consente alle persone di acquistare prodotti locali».
L’avventura di De Marco è iniziata nel 2013 con una riuscita campagna di crowdfunding, «che mi ha dato molta visibilità», poi è proseguita – e cresciuta – tra successi e difficoltà. Su tutte, «il trovare persone appassionate come me che portassero avanti la mia idea», e la solita, asfissiante burocrazia italiana.
Grattacapi condivisi da Diva Tommei, che è stata inserita tra le 50 donne più influenti nel mondo delle startup in Europa. Con Selenica ha dato forma a una lampada capace di portare il sole negli interni peggio esposti. Anche in questo caso, la lampadina si è accesa per un’esigenza personale. «Avevo appena traslocato da Roma a Cambridge per fare il dottorato, lavoravo in un laboratorio mal esposto, la luce diretta del sole non entrava mai».
Come catturare i raggi sul davanzale e proiettarli dentro la stanza? «Sono sempre stata abituata a trovare soluzioni fisiche ai problemi e così ho fatto anche stavolta – ha raccontato ancora Tommei –, applicando una tecnologia a base di eliostati che avevo conosciuto durante un periodo di studio alla Singularity University della Nasa. Ne ho fatto uno specchio robotico che attraverso dei sensori rileva l’ambiente, trova il sole e lo riflette altrove. L’ho costruito per me, poi è diventato una startup».
Detto così sembra facile. In realtà entrambe le giovani imprenditrici hanno raccontato delle difficoltà affrontate inizialmente. Legate come detto ai collaboratori, alla burocrazia e non ultimo alle fonti di finanziamento. «Qualche anno fa l’ecosistema delle start up era molto poco conosciuto e gli investitori erano meno avvezzi a metterci risorse. Oggi – ha concluso Tommei – è meno difficile, anche grazie al nostro lavoro».
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