Stipendi, il Nordest non è locomotiva anzi resta indietro

Fanalino di coda del Nordest, in posizione da mezza classifica tra le regioni italiane, Friuli Venezia Giulia e Veneto - che appartengono di diritto a quella che è stata, ed è ancora, la locomotiva del Paese - non brillano per livelli di remunerazione del lavoro. Nei grafici che pubblichiamo, troviamo infatti il Fvg all’ottavo posto in graduatoria tra le regioni italiane con una Rga media (retribuzione globale annua) di 29 mila 978 euro, di poco superiore alla media nazionale; il Veneto sta al posto numero 9, con 29 mila 576 euro, di poco sotto alla media nazionale.
Raffinando l’analisi, a livello di province molte si posizionano nella parte alta della classifica, due nell’area mediana (Pordenone e Rovigo). Chi svetta, piazzandosi subito sotto la prima, ovvero Milano, è Trieste con oltre 33 mila euro annui medi, circa 5 mila euro in più rispetto a Pordenone, che si ferma a 28 mila 181. E spiccano Bolzano e Trento, la prima al terzo posto nazionale con 33 mila 285 euro, la seconda al 15° con 30.395.
A livello di settori che cosa emerge? Una correlazione tra diverse vocazioni: maggiore è quella manifatturiera, minore è il valore delle retribuzioni. Viceversa Milano, per l’appunto, e Trieste, sedi di banche e compagnie assicurative, si posizionano in alto.
L’Italia, poi, esce perdente anche in un confronto internazionale. Esaminando il trend delle retribuzioni nell’arco di tempo 1997-2019, nel nostro Paese non solo gli stipendi non sono aumentati, ma addirittura sono diminuiti, come certifica l’Ocpi, Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica. E sebbene sia vero che le variazioni percentuali a tre cifre riguardano Paesi economicamente lontani da noi, come Lituania, Lettonia, Estonia ecc., è anche vero che la variazione è stata significativamente positiva in Francia, +17%, Germania, +10%, Austria, +10%, Belgio, +9%. Noi ne usciamo con un -6%, e quindi con una variazione negativa che ci affianca a Spagna, -2%, e Grecia, -18%.
Ma qual è la ragione per cui in Italia gli stipendi, nella sostanza delle cose, non aumentano? «Le motivazioni sono più d’una - risponde alla domanda Daniele Marini, professore di Sociologia dei processi economici all'Università di Padova e co-autore del volume di Fabio Storchi, già numero uno di Federmeccanica, “La passione per il rinnovamento” -. La prima è legata al fatto che la produttività, nel nostro Paese e a Nordest, non aumenta, e questo si ripercuote sui salari che tendenzialmente restano stabili. Il secondo elemento deriva dalla particolare struttura del nostro sistema economico, dobbiamo ricordare che oltre il 90% delle imprese presenti nel territorio, ha meno di dieci dipendenti, e non fa contrattazione di secondo livello che è appannaggio delle grandi aziende o dei grandi gruppi industriali».
E, ancora, esiste «una contrattazione che possiamo definire “parallela” - prosegue Marini -: siccome sappiamo che gli aumenti salariali, se non erogati sotto forma di welfare, vengono erosi dalla fiscalità, si fa ricorso a forme di incremento della remunerazione che potremmo definire “non ufficiali”, ed è un elemento che ovviamente sfugge alle rilevazioni. Questo mix di fattori - conclude Marini - fa sì che i salari restino bassi».
C’è poi un altro elemento su cui poco ci si sofferma parlando di costo del lavoro, ed è - se così lo possiamo chiamare - il costo del tempo. Se le nostre buste paga sono al palo in Europa, è vero anche che primeggiamo per giorni retribuiti di assenza dal lavoro per ferie, permessi, congedi ecc. (ad esempio un congedo per maternità da noi è di 21 settimane, in Germania 14).
C’è comunque la via del welfare. La strada è già stata imboccata, la novità è arrivata con il contratto nazionale dei metalmeccanici del 2016, confermato in quello del ’21, che ha reso possibile ai lavoratori l’accesso ad una serie di servizi di welfare.
E la somma destinata non viene tassata; è vero che non aumenta il netto in busta paga, ma incrementa in maniera indiretta il reddito. L’innalzamento della soglia del valore dei fringe benefit da 600 a 3 mila euro, ma solo per quest’anno, deciso dal Governo, dà oggi una mano alle famiglie alle prese con caro-bollette e inflazione. Meglio sarebbe se fosse strutturale, insieme ad un robusto taglio del cuneo fiscale. Anche perché con l’inflazione in corsa, la vertenza sui salari non pare lontana.—
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © il Nord Est