Popolare di Vicenza: depositate 202 denunce penali

Abbandonata la class action, l'unione nazionale dei consumatori ha raccolto dati e storie di centinaia di clienti tra Treviso, Vicenza e Padova. Quattro le ipotesi di reato: truffa, aggiotaggio, estorsione e false comunicazioni sociali

CASSOLA (VI). L'ultimo ricorso data 23 dicembre 2015 e, con la prima denuncia depositata in Procura di Vicenza il 22 ottobre 2015, somma un totale di 202 denunce penali contro la Banca Popolare di Vicenza. A raccoglierle è l'Unione nazionale dei consumatori.

I dati sono stati presentati il 38 dicembre alle 11 a Cassola in provincia di Vicenza dal responsabile regionale dell'Unione dei consumatori Antonio Tognoni.

Tognoni che ha ufficialmente chiesto al consigliere regionale Nicola Ignazio Finco di far partecipare almeno un rappresentante dell'associazione ai lavori della imminente commissione regionale d'inchiesta sul caso Banche Popolari.



“Noi lavoriamo a tutela degli interessi dei consumatori – precisa Tognoni – e i nostri ricorsi seguono l'articolo 93 del codice di procedura penale, secondo cui le associazioni dei consumatori possono costituirsi in sede penale. Al momento – precisa – copriamo tre province: Treviso, Vicenza e Padova”.

“Abbiamo esaminato ogni singola posizione. E in molti casi ci sono state vendite di azioni che possiamo definire una truffa”. Significa, spiega il portavoce, che “per noi le azioni sono state vendute forzando la mano, giacché molti investitori non avevano le caratteristiche richieste dalla Mifid ma le hanno acquistate fidandosi del funzionario di banca". La responsabilità penale in questo caso è soggettiva (del funzionario, ndr) ma spiega l'associazione: “l'intenzione è quella di colpire la Banca” e soprattutto “il mancato rispetto delle profilature della Mifid” (il questionario Ue che ogni cliente deve compilare per rendere conto della propria consapevolezza del mercato e degli strumenti finanziari, ndr).


La class action, precisa l'Unione dei consumatori, non era percorribile. Per questo è stata scelta la via penale. “L'azione civilistica sarebbe stata più lunga e andava fatta individualmente per il risarcimento del danno – prosegue -; a nostro parere invece ci sono dei reati penali”. Quelli che ipotizziamo sono 4: truffa, estorsione, false comunicazioni sociali e aggiotaggio.


“Il reato più grave, di cui anche il procuratore di Vicenza ne ha condiviso l'ipotesi, è l'estorsione – dice Tognoni -: la banca spesso proponeva di investire sulle sue azioni bancarie a fronte del rilascio di un fido o un mutuo: questa non è solo violazione del diritto bancario ma è anche da causa penale e vanno individuate le responsabilità: noi difendiamo un caso di una pensionata vedova con 70 mila euro della liquidazione del marito morto, tutti investiti in azioni della banca: questo non è concepibile e la banca doveva agire in maniera accorta e diligente con questo profilo”. E continua: “Abbiamo anche casi di qualcuno con il mutuo di casa o aziendale dato e concesso in funzione delle azioni”.

Ma perché la banca ha fatto questo? “Era una strategia spregiudicata – spiega Tognoni – siamo infatti in possesso di un documento datato ottobre 2012, che è ora agli atti della procura per l'attendibilità che per noi c'è": la lettera diffidava la direzione della banca dal vendere queste azioni sottoforma di autofinanziamento “perché strumenti finanziari soggetti alle regole delle direttive Mifid”. In più, si legge nella lettera, “la banca non può sollecitarne la vendita promuovendo l'acquisto attraverso bonus da dare ai dipendenti”. “Questo dimostra che a ottobre del 2012 erano già a conoscenza del rischio della vendita di queste azioni – spiega il portavoce -. La raccolta di azioni va fatta con fondi e risorse spontanee dell'investitore non artificiose. Per noi dunque è reato”.

Eleonora Vallin

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