Automotive, Vescovini (Sbe-Varvit): «Industria a rischio, l’Ue cambi rotta»

L’imprenditore a capo di uno dei leader mondiali nella produzione di giunti meccanici di fissaggio per molti settori industriali teme il rischio di desertificazione industriale

Giulio Garau

 

«L’annuncio della Volkswagen di spostare la costruzione di auto elettriche in Cina è la dimostrazione plastica del fallimento delle politiche ambientali europee. La filiera elettrica è in mano alla Cina e non è possibile vincere la competizione che fa leva sul controllo della supply chain mondiale di litio, cobalto e dei materiali per la produzione di batterie. Un fatto epocale e la Commissione Ue dovrà decidere se posticipare gli obblighi imposti ai produttori europei di elettrificare tutti i modelli entro il 2035: solo l’Europa lo ha chiesto. Una follia ideologica che rischia di condannarci alla desertificazione industriale. L’Ue è responsabile solo per il 6% dei gas serra mondiali».

È molto preoccupato Alessandro Vescovini, imprenditore a capo di Sbe-Varvit, uno dei leader mondiali nella produzione di giunti meccanici di fissaggio per molti settori industriali, con una capacità annua di oltre 100 mila tonnellate di prodotto, esportato in oltre 70 paesi. Mille dipendenti in sei stabilimenti in Italia tra cui Monfalcone e Tolmezzo in Friuli Venezia Giulia, uno in Serbia e uno negli Usa e 340 milioni di fatturato. Tra i clienti Volkswagen, Stellantis, Mercedes e Ford.

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Crede sia stata una scelta pilotata?

«Sono scelte talmente assurde che non possono essere frutto di un errore o di una allucinazione collettiva, ma di una volontà perversa che ha favorito i nostri competitor. I legislatori Ue erano perfettamente consapevoli della difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e che non saremmo mai stati competitivi. Ma hanno deciso comunque di procedere a marce forzate verso la distruzione di un intero settore e di tutta la sua filiera e di spalancare le porte ai produttori cinesi.

Come si sono mossi negli altri paesi extra Ue?

«I giapponesi hanno fatto una scelta opposta, hanno stabilito limiti alle emissioni ma lasciando ai produttori la scelta tecnologica. Toyota, primo produttore mondiale, ha puntato sulle vetture ibride con risultati economici migliori ed aumentando le quote di mercato».

Non è così per Volkswagen.

«Il gruppo tedesco, secondo produttore mondiale, costretto dalle normative Ue, vende l’11% delle auto elettriche sul mercato, di cui il 27% in Europa, scelta che sta penalizzando la sua redditività (ha perso 1,07 miliardi nel terzo trimestre, ndr)».-

Ma l’auto elettrica è ritenuta la via migliore per abbattere le emissioni.

«A causa dell’elevato contenuto di energia per la sua produzione, tra batterie e alluminio, azzera il suo maggiore impatto CO2 solo dopo 50 mila km e a patto che si utilizzi sempre energia verde. Peccato che la maggior parte delle auto venga utilizzata di giorno e ricaricata la notte, quando la produzione di energia da fonti rinnovabili è al minimo».

Come legge dunque la decisione di Volkswagen?

«Una scelta inevitabile, la prima di una lunga serie di produttori che ne seguiranno l’esempio e che ha messo la commissione Ue di fronte alla realtà: le auto elettriche si faranno in Cina e l’industria europea sarà azzerata a meno di un ripensamento che auspichiamo».

Questa situazione si sta riverberando su tutta la filiera e le aziende come Sbe.

«Da anni l’industria della componentistica assiste al calo dei volumi del powertrain (cambi e motori) ed al collasso di molte aziende della filiera europea ed italiana. Una vettura elettrica ha bisogno del 30% in meno di componenti rispetto ad una a motore endotermico, una vettura ibrida ne ha invece di più. Per fortuna in questi anni Sbe è riuscita a diversificare la clientela sostituendo il calo della domanda automotive, che pesa meno del 7% sulle vendite, con altri settori».

C’è una via d’uscita?

«L’unica soluzione per compensare l’aleatorietà delle rinnovabili è puntare sul nucleare di nuova generazione».

Fa impressione sentir parlare così un imprenditore che, primo fra tutti, ha spinto sulla decarbonizzazione.

«Sono stato tra i primi in Italia, deriso da molti, ad investire nel fotovoltaico, più di 15 anni fa. Ma chi ha conoscenza tecnica sa che un impianto fotovoltaico produce a queste latitudini solo per 1.100 ore all’anno. Per ridurre le emissioni ed andare sulla totale elettrificazione c’è solo il nucleare».

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