Lilli: “L’oleodotto triestino strategico nella sfida energetica”

Parla il general manager del gruppo Tal e presidente dell’infrasruttura

dopo l’annuncio di investimenti per 100 milioni di euro entro il 2024

Piercarlo Fiumanò

Il gruppo Transalpine Pipeline (Tal) controlla l'infrastruttura lunga 753 chilometri che trasporta il greggio dal porto di Trieste alle raffinerie in Austria, Germania e Repubblica Ceca. I traffici dell’oleodotto triestino, nonostante l’impatto dei lunghi lockdown sui traffici mondiali e ora delle ripercussioni della guerra in Ucraina, sono in ripresa rispetto al 2021 e puntano al traguardo degli oltre 42 milioni di tonnellate di greggio pre-pandemia di quattro anni fa. Un buon risultato nonostante il calo di approvvigionamento dovuto all’incidente che ha colpito in giugno la raffineria austriaca di Schwechat vicino Vienna che non ha potuto importare greggio per quattro mesi. Oggi Tal è governata da una compagine azionaria rappresentata da alcune delle majors del settore petrolifero: gli austriaci di Omv hanno la maggioranza relativa con il 32%, poi c’è Shell (19%), Rosneft Deutschland, Eni, Gunvor, ExxonMobil, Mero, Phillips 66/Jet Tankstellen e Total.

L'infrastruttura, che valorizza il porto di Trieste come primo energy port nazionale, svolge un ruolo centrale in Europa sullo sfondo della sfida energetica innescata dalle sanzioni per la guerra di Putin. Questione diventata più urgente dopo che il 5 dicembre scorso è entrato in vigore anche in Europa l’embargo per il petrolio russo annunciato sei mesi fa. In questo scenario Tal, guidata dal general manager Alessio Lilli che è presidente di Siot (Società Italiana Oleodotto Transalpino), ha appena annunciato investimenti per oltre 100 milioni di euro entro il 2024 con l'obiettivo di aumentare potenza ed efficienza dell'infrastruttura che serve otto raffinerie in Europa. L’intervento approvato dagli azionisti Tal, che avviene in buona parte a Trieste, consentirà di incrementare la portata complessiva dell’oleodotto che potrà così accogliere navi più grandi: «Investimento indispensabile nel quadro degli interventi per garantire la completa autonomia della catena di approvvigionamento in Europa. C’è anche la necessità di coprire il fabbisogno delle due raffinerie della Repubblica Ceca quando anche i rubinetti dell’oleodotto Druzhba, dove fluisce petrolio russo che le rifornisce al 50%, si chiuderanno causa embargo», precisa Lilli.

Circa 58 milioni del budget complessivo verranno dedicati alla parte italiana dell'Oleodotto Transalpino gestito dalla Siot, e di questi oltre il 50% saranno destinati alle infrastrutture presenti a Trieste, con il rafforzamento del Terminale Marino e del Parco Serbatoi: «Si tratta di un programa di revamping e ammodernamento ricettivo dei nostri due moli per potere accogliere navi più grandi con portata maggiore». Altri interventi di miglioramento di efficienza saranno effettuati in Austria e Germania: «L’infrastruttura diventa più potente. Per usare un paragone con le auto, cambiamo la cilindrata del motore», annuncia Lilli.

Il presidente Siot non teme un impatto significativo sul mercato del greggio: «Le compagnie hanno avuto sei mesi di tempo per trovare altre fonti di approvvigionamento. Anche nel porto di Trieste, dove il greggio russo a novembre rappresentava una quota di poco meno del 7%, non prevediamo ripercussioni importanti. Bisogna tuttavia attrezzarsi in tempo per rifornire le raffinerie. Per questo abbiamo lanciato questo piano di investimenti».

Ma quale sarà l’impatto sul mercato dei consumi dell’aumento dei costi dell’energia in Italia? «É un problema molto grave. Ci siamo fatti trovare impreparati perchè la struttura di approvvigionamento del nostro Paese era troppo sbilanciata verso la Russia. Tuttavia credo che il 2020 della pandemia abbia imposto alla aziende una estrema prudenza. Già lo scorso anno abbiamo visto dopo il primo anno di Covid una improvvisa impennata dei consumi che ha messo in difficoltà le catene della logistica. Da settembre dello scorso anno i mercati sono entrati in tensione a causa delle tensioni fra Germania e Russia su Nord Stream 2. I prezzi sono aumentati a livelli che non si potevano immaginare. Il costo del gas schizzato a 360 centesimi di euro al metro cubo ha messo in seria difficoltà famiglie e imprese».

Ma come reagire? «In Europa c’è il modello spagnolo ha funzionato perchè si è dotato di rigassificatori da tempo ed è il Paese che ha reagito meglio. In altri casi la situazione è più critica come in Austria dove, nonostante il 70% del gas provenga da fonte russa, si riesce a compensare bene questa dipendenza grazie alla presenza delle centrali idroelettriche. In Germania il gas viene fornito dai gasdotti nel mare del Nord. La Francia soffre di più e sarà costretta a distacchi programmati dopo che il prezzo dell’energia elettrica è salito a 900-1000 euro al megawattora. Le centrali nucleari francesi, che sono a basso regime per un aumento dei controlli di sicurezza programmati, non bastano a garantire l’elettricità necessaria».

E l’Italia? «Nel nostro Paese abbiamo fatto molto. Tuttavia i rigassificatori esistenti non garantiscono la continuità di servizio e quindi la produzione di energia elettrica necessaria al nostro Paese in tempi normali. Tuttavia in ottobre e novembre siamo riusciti a risparmiare molto». Servirà? «Dipenderà dai comportamenti virtuosi, sia individuali che collettivi. Abbiamo gli stoccaggi di gas pieni ma ciò significa che per il prossimo inverno abbiamo solo due mesi garantiti». Ma quali sono le altre fonti che possono soddisfare un pacchetto energia per il Paese? «Oltre rigassificatori ci sono anche le altre fonti come la centrale a carbone di Monfalcone che è stata riattivata. E poi ci sono le fonti di energia rinnovabile che possono consentirci di superare l’inverno».

Basteranno? «Non è un obiettivo impossibile anche se gli esperti non escludono anche per l’Italia l’ipotesi di possibili razionamenti anche se solo per alcuni settori. Basta fare un po’di conti. L’Italia produceva circa il 40% della propria energia con il gas che per il 40% veniva importato dalla Russia. Ciò significa che il 16% del nostro fabbisogno di energia elettrica proviene dal gas di Mosca. Possiamo farcela». —

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