Investire in Bosnia, opportunità per le imprese del Nordest. Con i fondi Ue

PADOVA - Per le imprese che vogliono investire nei Balcani Occidentali c’è l’opportunità dei fondi europei IPA III, cioè lo strumento di assistenza pre-adesione per i Paesi extra UE interessati a diventare membri dell’Unione. È di 9 miliardi di euro il budget 2021-2027 per Bosnia Erzegovina, Serbia, Montenegro, Kosovo, Albania e Macedonia del Nord.
Risorse che in parte finanziano anche investimenti privati in ambito energia, trasporti, transizione verde e digitale.
L’Ambasciatore d’Italia in Bosnia ed Erzegovina Nicola Minasi sottolinea l’importanza di lavorare oggi in maniera diversa dalla promozione commerciale classica, perché occorre investire in settori dove Sarajevo deve migliorare la propria regolamentazione interna per mettersi in linea con gli standard europei.

In quali settori economici Italia e Bosnia ed Erzegovina hanno oggi più relazioni?
“Legno (la Bosnia ed Erzegovina è molto ricca di legname), abbigliamento-tessile-calzature, cuoio, metalmeccanica, alimentare. L’Italia è in genere il secondo partner commerciale dopo la Germania, con un interscambio medio annuale di 2 miliardi di euro. Nel 2020, con una flessione del 18,4% rispetto al 2019, è scesa al terzo posto a 1,5 miliardi, superata se pur di poco dalla Serbia (dati Agenzia di Statistica della Bosnia ed Erzegovina). La bilancia rimane comunque in attivo con un export di circa 1 miliardo. C’è una fitta integrazione di filiere produttive tra i due Paesi, con molte aziende bosniache subfornitrici di aziende italiane. Una parte rilevante dell’interscambio avviene anche tra aziende collegate dal punto di vista societario. Le due economie sono quindi molto connesse, tant’è che la ripresa bosniaca dipende da quella italiana. È importante agevolare gli investimenti italiani nell'economia bosniaca e tutelare così un retroterra di filiera produttiva che aiuta molte nostre imprese”.
Quante aziende italiane operano in Bosnia?
“In un Paese con 3,5 milioni di abitanti e un Pil nominale nel 2019 di 18,1 miliardi di euro, si registrano circa 80 società italiane che hanno effettuato investimenti diretti o joint-venture. Sono oltre 10.000 gli occupati riconducibili ad aziende italiane. Tra i principali investitori industriali nel Paese spicca la bresciana Metalleghe, produttore di silicio metallico che in Bosnia ed Erzegovina ha due impianti importanti che servono i mercati internazionali. E poi ci sono aziende di abbigliamento, calzature, chimica, meccanica, costruzioni e progettistica. Significativa la presenza nel settore bancario: il 30% del mercato bosniaco è detenuto dai gruppi Intesa Sanpaolo e Unicredit, che è la prima società bosniaca per capitalizzazione. Il sistema bancario è basato su standard e principi internazionali ed è uno dei settori più organizzati e sviluppati del Paese: su 24 banche commerciali, 15 sono di proprietà straniera”.

E le imprese del Nordest?
“Settori legno e calzature, in primis. In particolare i gruppi Corà [che nella penisola balcanica ha sedi anche in Romania e Croazia, ndr] e Olip [presente anche in altri Paesi dell’Europa centro-orientale, ndr]. Tra i nomi noti di altri settori, il Colorificio San Marco e PMP Industries per le macchine siderurgiche”.

Perché investire in Bosnia ed Erzegovina?
“L'attuale status di Paese associato all'UE permette un accesso privilegiato al mercato europeo. Stabilità monetaria grazie al cambio fisso con l'Euro, dogana molto facilitata, manodopera qualificata e facilmente reperibile a costi contenuti. Ci saranno opportunità nell’atteso processo di privatizzazioni (telecomunicazioni, servizi, agro-alimentare) e di ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture viarie (Corridoio Vc) ed energetiche”.
Ci sono anche fondi UE a disposizione?
“Certo. Proprio perché la Bosnia ed Erzegovina non è ancora uno Stato membro UE, è possibile usare fondi che altrimenti non sarebbero disponibili. Ma bisogna investire in settori dove il Paese deve migliorare la propria regolamentazione. Cioè agricoltura, ambiente, energia. Quello della transizione energetica in particolare è un grande tema in Bosnia ed Erzegovina, perché servono investimenti con tecnologie green per ridurre l'inquinamento”.

Di che fondi si tratta?
“Con ICE stiamo puntando su IPA III: lo strumento di assistenza pre-adesione all’Unione Europea. Per i 6 Paesi extra UE dei Balcani Occidentali c’è un budget 2021-2027 di 9 miliardi, per finanziare anche iniziative del settore privato. Questo consente anche di integrare fondi Cdp di Sace-Simest per progetti congiunti. E poi ci sono i fondi collegati all'Iniziativa Adriatico-Ionica (IAI), il Forum di collaborazione tra la Regioni adriatiche italiane e quelle della sponda balcanica”.

Attività in corso della rete diplomatica commerciale?
“Abbiamo programmato con ICE una serie di iniziative per la promozione degli scambi, soprattutto in ambito agroalimentare e costruzioni. Sandra Di Carlo, la nuova direttrice dell’Ufficio ICE per Croazia e Bosnia ed Erzegovina, ha costruito una missione molto ricca: lavoreremo per un rafforzamento dei contatti con le imprese italiane e le Camere di Commercio locali. Serve integrazione tra promozione commerciale, collaborazione sui fondi europei e cooperazione internazionale”.

Come sono le relazioni politico-istituzionali tra Italia e Bosnia ed Erzegovina?
“Eccellenti. L'impegno sociale e culturale italiano è fortissimo e nasce da tempi lontani perché già negli anni 90 la società civile italiana è stata molto impegnata per la pace nel Paese. L’Italia è Paese membro del Consiglio per l'applicazione degli accordi di pace di Dayton e partecipa con un contingente militare all’Operazione Militare dell’Unione Europea in Bosnia ed Erzegovina per la sicurezza del Paese. Inoltre lavora per agevolare l’avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea. Durante la recente visita di fine marzo a Sarajevo, il Ministro degli Esteri Pierluigi Di Maio ha incontrato tutti i vertici istituzionali della Bosnia ed Erzegovina, discutendo le relazioni bilaterali e ribadendo il sostegno di Roma alle riforme necessarie per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione Europea. In particolare con il primo ministro si è discusso della possibilità di facilitare ulteriori investimenti italiani se il Paese adotterà normative tecniche in linea con quelle europee in materia di concorrenza, ambiente ed energia”.
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