Zidarich, 300 metri di quota sul Carso triestino: ecco come nasce un vino antico
Stretta tra vigna, mare e borgo, la cantina si trova in cinque piani scavati nella roccia carsica più tre dedicati al magazzino. Niente cemento, solo roccia. L’uva viene fermentata sulla buccia, senza l’uso di lieviti, senza controllo della temperatura, senza frighi né termoconvettori

Il sapore è quello di un mondo antico, dove l’enologia tecnica non ha diritto di cittadinanza. Nell’azienda di Beniamino Zidarich, 300 metri di quota sul Carso triestino, in comune di Duino Aurisina, località Prepotto, il paese della Vitovska, il si fa ancora come al tempo di suo padre e suo nonno, che vinificavano nella casa ottocentesca appena visibile spalle della cantina.
Il rispetto, quasi religioso, per il lavoro in vigna - «perché lì - chiarisce subito Zidarich - nasce il vino, che meno si tocca in cantina, meglio viene» - si accompagna a quello altrettanto rigoroso per il paesaggio. L’osmiza, aperta solo per poche settimane d’estate, è affacciata sul mare: Trieste a destra, il castello di Duino a sinistra e Venezia di fronte, un’apparizione nei giorni di cielo terso. Tutt’intorno le case del borgo, i vicoli stretti, qualche appezzamento di vigna aggrappata alla roccia, non un cartello a indicare la presenza della cantina, volutamente nascosta alla topografia e agli sguardi.
«Il turismo non ci interessa, il nostro impegno è tutto per il vino» chiarisce senza timori Zidarich, soppesando un grappolo tra le mani, ormai pronto per essere vendemmiato e portato in cantina, dove il tempo e null’altro farà la sua parte.

Stretta tra vigna, mare e borgo - dove con Zidarich sono solo altri tre vignaioli a tener alta la tradizione dei macerati -, l’azienda trova casa dentro la terra. La cantina, che non si vede, è a portata di qualche rampa di scale sotto l’osmiza: cinque piani scavati nella roccia carsica più tre dedicati al magazzino, frutto di ingenti investimenti e di 10 anni di lavoro, cui se ne stanno aggiungendo ulteriori due, in fase di realizzazione.
Tutti collegati da cunicoli e scale, niente cemento, solo roccia, prima scavata, poi lavorata pezzo per pezzo. Spazi flebilmente illuminati, come a non voler disturbare il lavoro di madre natura.
L’importante spazio non è funzionale tanto a un aumento della produzione, stabile intorno alle 30/35 mila bottiglie, con la Vitovska che rappresenta il 65% della produzione, affiancata da Malvasia istriana, Kamen, Prulke, Ruje, Terrano e Merlot, ma a una migliore lavorazione dell’uva, alla possibilità di allungare i tempi di affinamento, che qui sono tutto.

«Non facciamo vini freschi, né tecnici. I nostri - continua Zidarich - sono tutti macerati. L’uva viene fermentata sulla buccia, senza l’uso di lieviti, senza controllo della temperatura, senza frighi né termoconvettori. In cantina la temperatura è costante, ci sono 12-14 gradi tutto l’anno, il consumo energetico è pari a zero. Quanto a strumentazione, abbiamo solo due macchine: un torchio e una diraspatrice».
L’uva macera nei tini minimo un mese, quella in pietra anche un mese e mezzo. I vini vanno in bottiglia dopo minimo 2, 3 anni. «Così durano nel tempo. Anche 15, 20 anni» spiega Zidarich che ricorda ancora come all’inizio, quando i macerati, pur forti di una lunga tradizione, si affacciavano per la prima volta al mercato, il giallo intenso del vino bianco versato nel calice faceva storcere il naso degli “intenditori“.

«I vini possono ossidare un po’ e presentarsi alla vista con un colore un po’ più scuro, ma è la loro caratteristica, sono vini naturali, è come fare un Barolo» rivendica il vignaiolo.
Dopo l’iniziale diffidenza, i macerati oggi sono apprezzati «sia da chi ha grande cultura di vino che dai giovani. Tanto che quest’anno - svela Zidarich - abbiamo finito le bottiglie a tempo record, a giugno eravamo già senza. Ora stiamo imbottigliando il 2021, che inizieremo a vendere a fine anno».
Il mercato chiede più di quanto l’azienda possa offrire. «Potremmo fare tutto export, ma vogliamo che il nostro vino resti anche in Italia. Ce lo chiedono chef stellati, enoteche di livello. Ne avessi di più lo finirei tutto, ma non è quello l’obiettivo. Mi preme lavorare bene - conclude -, fare qualità, non quantità, come mio padre, mio nonno e il mio bisnonno. Usando solo l’uva. Ne lavoriamo 30 quintali per ognuno dei 12 ettari di vigna che abbiamo sparsa sul Carso. L’ampliamento ulteriore della cantina risponde a questa logica».
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