Webmaster per i big, Ensoul punta sulla GenZ
L’imprenditore friulano Fulvio Romanin: «Spazio a obiettivi prima umani che fiscali, sì a una crescita etica»

Aveva 29 anni e 300 euro in tasca quando nel 2000, Fulvio Romanin, fresco di laurea in Scienze naturali, aprì partita Iva. Per fare? Siti web.
Nel giro di poco diventa il webmaster dei principali festival musicali in Italia (e non solo). Ensoul, così si chiama la sua azienda, arriva a gestire fino a 20 siti di grandi eventi in un anno. Cresce, finché il fenomeno festival non inizia ad accusare i segni del tempo.
Siamo nel 2010 e l’imprenditore udinese, che la crisi di quel mondo ha iniziato ad annusarla da tempo, è pronto a cambiare pelle.
Dai festival passa ad occuparsi di imprese (e non solo). In portafoglio vanta nomi di tutto rispetto, dalla manifattura al real estate: da Moroso a Fantoni per restare a Nord Est, passando dalla Biblioteca degli alberi di Milano e dalla multinazionale farmaceutica giapponese Daiichi Sankyo.
Quattro nomi su trenta clienti attivi. Gli altri contratti sono coperti da accordi di riservatezza (che la dicono lunga sul calibro dei committenti).
Dalla partita Iva, che ormai gli sta stretta, nel 2015 passa alla Srl, ad avere un socio – Giulio Pecorella – e ad assumere, arrivando, un contratto dopo l’altro, a quota 10 collaboratori, che nei picchi di lavoro diventano 15.
«Oggi io mi occupo essenzialmente della visione dell’azienda, per le parti esecutive ci sono persone più giovani e brave di me» dice parlando dei “suoi” ragazzi.
Definizione che non ha nulla di paternalistico (niente di più lontano da Romanin) ma si attiene banalmente all’anagrafe perché l’età media, in Ensoul, è di appena 25 anni.
Raccontando la storia della sua impresa, Romanin parla di «una crescita etica, naturale, amministrata e regolata da quelli che sono una serie di obiettivi prima umani che fiscali».
Il benessere dei suoi collaboratori è per lui un mantra, che argomenta nella sua ultima fatica letteraria, “Una piccola impresa (da partita Iva a Srl senza perdere la testa)” pubblicata per i tipi di Apogeo: un condensato di buone pratiche (senza pretesa d’essere esaustivo) su come gestire una micro società, mediando tra sogni, ambizioni, possibilità reali, inciampi ed errori. Uno slalom gigante.
Del resto, come dice lui: «Si chiama impresa perché è difficile».
Su alcuni argomenti la posizione dell’imprenditore, oggi 54enne, è dirompente.
A partire da quella sul personale, questione quanto mai calda per le imprese che sempre più, anche in quel Nord Est terra di grandi lavoratori, i dipendenti faticano a trovarli.
Un tema che in Ensoul non esiste. Romanin i suoi collaboratori li va a pescare direttamente a scuola.
«Un serbatoio meraviglioso di ragazzini super creativi e volenterosi. Cosa fa la differenza? Quel “friccitore nerd” negli occhi che o hai o non hai, mentre le competenze poi si costruiscono ogni giorno con la formazione che è un costo aziendale, necessario».
Turnover? «Zero» assicura Romanin perché «cerco di essere il datore di lavoro che sognavo di avere, di ballare con i desideri delle persone».
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«Al tristemente famoso 9-9-6, lo schema (largamente adottato nella Silicon Valley e in Cina) che prevede si lavori dalle 9 del mattino alle 9 della sera per 6 giorni a settimana, rispondo “no grazie”».
In Ensoul «i collaboratori finiscono di lavorare tassativamente alle 17, non un minuto di più – racconta ancora il Ceo – non sono autorizzati a leggere le email fuori dall’orario di lavoro e non ricevono messaggi su WhatsApp (Romanin nemmeno ce l’ha), né durante, tanto meno fuori ufficio».
Smart working? «A cinque anni dalla pandemia, la maggior parte dei nostri dipendenti lo utilizza ancora e non torneremo indietro. Del resto, se lavorare in ufficio profuma di cultura della sorveglianza, sapete cosa vi dico? Adieu». —
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