Valbruna, a Bolzano è rischio sfratto. Il governo valuta il Golden Power

La gara indetta dalla Provincia mette in bilico 580 posti di lavoro. Lo stabilimento è un sito strategico per la siderurgia italiana

Sandro Moser

Grande incertezza, grandissima preoccupazione. È questa la situazione in cui si trovano le Acciaierie Valbruna, il gruppo siderurgico della famiglia vicentina Amenduni, che rischia di perdere nel giro di pochi mesi lo stabilimento di Bolzano.

Uno stabilimento strategico, con 580 addetti, in cui si producono acciai speciali utilizzati nel biomedicale (protesi), nell’aerospaziale, nella difesa e perfino nella Formula Uno, che genera 400 milioni sul miliardo di fatturato complessivo del gruppo.

E soprattutto uno stabilimento fortemente integrato con quello di Vicenza (1.200 addetti): se va in crisi Bolzano, va in crisi Vicenza.

La famiglia Amenduni è a Bolzano dal 1995 su un’area di 19 ettari di proprietà della Provincia Autonoma, con una convenzione trentennale da 1,5 milioni di euro di canone annuale. Una convenzione scaduta il 3 settembre scorso. E non rinnovabile automaticamente.

La Provincia ha indetto una gara, tecnicamente una “procedura di evidenza pubblica”, per riassegnare l’area, con un bando che prevede una lunga serie di condizioni, associate a un punteggio: in gioco il diritto di superficie per 50 anni, con un canone da 150 milioni (3 milioni all’anno). I termini per le offerte, con una cauzione del 2%, scadono il 15 gennaio 2026.

Contemporaneamente la Provincia ha approvato una proroga tecnica di un anno della concessione alla Valbruna, per perfezionare la gara, stabilendo anche che il gruppo vicentino, in caso di mancato rinnovo, avrà 18 mesi di tempo per sgomberare lo stabilimento, su cui in 30 anni ha investito 450 milioni.

In attesa del bando, incontrando i sindacati in agosto, il presidente della Valbruna, Michele Amenduni, aveva ribadito la volontà di restare a Bolzano. E dopo un incontro in Provincia i sindacati, si erano detti «cautamente ottimisti».

Un ottimismo rapidamente sfumato di fronte ai cento punti che il bando assegna a varie voci (piano industriale, sostenibilità ambientale, garanzia occupazionali, e così via): solo 4 punti infatti sono previsti a premio del know how nel siderurgico. «Non si poteva fare un bando ad hoc per il settore siderurgico», ha spiegato al giornale Alto Adige Manuela Defant, direttrice della ripartizione Sviluppo economico della Provincia.

Il punto di vista della giunta provinciale è chiaro: la Direttiva Bolkestein impone agli enti pubblici di assegnare a privati le aree pubbliche solo con una gara. «Come Provincia abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare, sfruttando i margini di intervento a nostra disposizione», ha dichiarato il governatore altoatesino Arno Kompatscher (Svp).

«La legge attuale, a livello nazionale ed europeo, non consente un rinnovo automatico» gli ha fatto eco l’assessore allo sviluppo economico Marco Galateo (FdI).

I sindacati sono insorti e hanno chiesto, e chiedono, il ritiro del bando, «un bando fatto con i piedi – dice Riccardo Conte della Cisl – scritto da gente che non ha la più pallida idea di cosa sia un impianto siderurgico. L’azienda ne contesta giustamente la formulazione, a partire dai punti assegnati all’esperienza siderurgica e contesta il canone annuo raddoppiato».

Anche la Confindustria altoatesina ha preso una posizione netta: «In Alto Adige, come in tutta Europa – afferma in una nota - siamo chiamati ad adottare misure per garantire il mantenimento e lo sviluppo delle aziende produttive. Le Acciaierie Valbruna, impresa altamente innovativa, sono un'azienda chiave per l'economia dell’Alto Adige».

Tuttavia quella delle Acciaierie Valbruna non è una questione solo altoatesina. «La perdita di Bolzano – spiega Maurizio Montini, della Cisl vicentina - avrebbe sicuramente una ripercussione occupazionale su Vicenza. Semplicemente perché Vicenza non potrebbe più lavorare i prodotti di Bolzano».

E aggiunge: «I due stabilimenti lavorano in sinergia. Materiali prodotti a Vicenza vengono lavorati a Bolzano e viceversa. Senza Bolzano, Vicenza non potrebbe mantenere gli attuali livelli occupazionali».

Giovedì scorso Antonella Amenduni ha prima incontrato il presidente della Confindustria di Bolzano Heiner Oberrauch, poi il sindaco di Bolzano Claudio Corrarati, che ha ribadito «l’importanza di garantire certezze per la programmazione degli investimenti e dell’approvvigionamento».

Il sindaco ha così messo in luce un problema chiave: la situazione blocca di fatto investimenti e programmazione. «Lasciare un’azienda siderurgica nell’incertezza per 3-4 mesi vuol dire perdere commesse – spiega ancora Montini - i corsi produttivi oscillano tra il mese e i quattro mesi, se un’azienda non sa cosa farà tra quattro mesi non può prendere una commessa».

Ma né il Comune di Bolzano né Confindustria hanno alcun potere sul dossier. E infatti, malgrado i ripetuti attestati di stima, dall’entourage degli Amenduni dopo gli incontri sono trapelati forti dubbi sulla partecipazione alla gara.

Un possibile, anche se incerto, punto di caduta è emerso nel recente incontro tra le parti e il ministro del made in Italy Adolfo Urso, a cui ha partecipato anche l’assessore regionale veneto Valeria Mantovan. In quella sede sia la Provincia che l’azienda hanno chiesto al ministro di valutare l’attivazione da parte del governo del Golden Power, riconoscendo l’interesse nazionale dello stabilimento. Il ministro si è preso un mese di tempo per approfondire il caso e riconvocherà le parti a metà ottobre. «Con il Golden Power – spiega Riccardo Conte – si potrebbero introdurre nel bando vincoli più forti in relazione all’attività siderurgica».

Ma non è detto che questo possa bastare. Perché anche se tutti a Bolzano sembrano volere la permanenza della Valbruna e che la stessa Provincia sostenga che la colpa dell’impasse sia solo della Direttiva Bolkestein, la realtà non è proprio così. Esiste una parte della politica altoatesina di lingua tedesca che non si straccerà le vesti se la Valbruna dovesse andarsene. Forse per chi non conosce Bolzano è difficile da capire, ma le acciaierie sono da sempre considerate un simbolo dell’italianità imposta all’Alto Adige dai tempi del fascismo. Uno stigma non del tutto scomparso.

Su questo, ad esempio, sono stati espliciti i due consiglieri provinciali della Süd-Tiroler Freiheit, Bernhard Zimmerhofer e Sven Knoll, ultras dell’autodeterminazione, i quali hanno chiesto con candore che «non venga rinnovato il contratto di locazione dell'acciaieria Valbruna, la Provincia dovrebbe mettere a disposizione l'area a un'azienda promettente, come ad esempio Alpitronic, che sta cercando una sede in Alto Adige».

Anche per questo i sindacati hanno avviato una serie di incontri con i partiti. E significativamente hanno ottenuto l’appoggio pure dei Verdi altoatesini. Ma non è un caso: la Valbruna ha investito 60 milioni di euro in sostenibilità ambientale. 

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