Sfida Usa-Cina, Giorgio Prodi: «Le imprese dovranno adattarsi»
Dalle auto elettriche all’intelligenza artificiale, dagli investimenti nei porti europei al rischio di frammentazione delle catene globali del valore

Giorgio Prodi è professore Associato di Economia applicata presso l’Università di Ferrara, Dipartimento di Economia e Management e direttore delle relazioni con Asia e Pacifico della Bologna Business School: «La sfida Usa-Cina durerà ancora a lungo, e richiederà alle imprese globali di adattarsi continuamente».
Prof. Prodi come valuta le dinamiche commerciali tra la Cina e l'Europa nell’era dei dazi di Trump?
«La Cina sta rivolgendo sempre più attenzione all'Europa, vista la necessità di ridistribuire le esportazioni destinate agli Stati Uniti . Sebbene non sia un partner strategico primario, l'Europa diventa una destinazione naturale per queste merci. Non dimentichiamo che Pechino mira a controllare l'intera filiera produttiva e distributiva».
L’industria europea deve allora preoccuparsi per l'invasione di prodotti cinesi a basso costo?
«Le preoccupazioni sono giustificate. A causa del protezionismo americano, molte di queste merci potrebbero orientarsi verso l'Europa, che diventa un mercato di sbocco. Inoltre, la domanda interna cinese, al momento poco dinamica, rende l'Europa una destinazione quasi inevitabile».
In quali settori si gioca la sfida competitiva con la Cina?
«La Cina sta diventando sempre più competitiva in settori innovativi, non solo nella produzione a basso costo. Pensiamo alle auto elettriche cinesi che sono ormai molto competitive, non solo in termini di prezzo ma anche per la tecnologia che stanno sviluppando. Questo è un cambio di paradigma significativo. Non si tratta più solo di un problema legato alla quantità, ma anche alla qualità e all'innovazione. Il mercato globale si sta evolvendo e la Cina sta acquisendo una posizione sempre più forte in tecnologie avanzate».
Vediamo un aumento degli investimenti cinesi in Europa anche nel sistema porti e retroporti. La Via della Seta sembrava avere preso altre strade nella geopolitica dei traffici. E ora?
«Questo è un segnale chiaro del cambiamento nella strategia cinese. La Cina capisce che non può limitarsi ad esportare verso l'Europa, ma deve anche cominciare a investire nel continente, a costruire una presenza produttiva diretta. L'Ungheria, in particolare, è un punto di accesso strategico per la Cina in Europa, e ci sono altri paesi che stanno accogliendo bene gli investimenti cinesi, soprattutto quelli con una forte industria».
Guardando alla situazione geopolitica e ai cambiamenti nelle rotte commerciali globali, quali sono le prospettive a lungo termine? E come si inserisce la Cina in questo scenario?
«La geopolitica ha sicuramente un ruolo cruciale nel rimodellare le rotte commerciali globali. La crisi del canale di Suez ha evidenziato quanto siano vulnerabili le catene di approvvigionamento globali. In risposta, molte imprese stanno cercando vie alternative, e questo include rotte marittime più lunghe, come quelle attraverso l'Artico, sebbene siano ancora lontane dall'essere praticabili a pieno regime. La Cina, tuttavia, dovrà affrontare la sfida di contribuire alla stabilità globale, soprattutto se vuole consolidare il suo ruolo come potenza commerciale globale. Non può semplicemente lasciare ad altri la gestione delle crisi internazionali, deve trovare un equilibrio che favorisca la cooperazione piuttosto che l'aggressività».
In questo scenario di incertezze geopolitiche ed economiche, quale ruolo hanno le tecnologie emergenti, come l'intelligenza artificiale (AI), e come sta influenzando le dinamiche competitive globali?
«Le tecnologie emergenti, in particolare l'intelligenza artificiale, stanno cambiando drasticamente le dinamiche competitive. La Cina sta investendo enormemente nell'AI, con un approccio che include modelli open-source e l'integrazione di AI nei settori più diversi, dai telefonini all'automotive. Questo rende le imprese cinesi sempre più competitive, anche se, a livello tecnologico, alcuni settori europei e statunitensi sono ancora avanti. Tuttavia, l'AI è destinata a ridurre il gap, consentendo alle imprese cinesi di guadagnare terreno anche su settori che inizialmente dominavano gli Stati Uniti o l'Europa».
E riguardo al panorama industriale, quali sono le implicazioni per le aziende europee che competono con imprese cinesi sempre più competitive in questi settori?
«Le aziende europee devono essere consapevoli che, mentre alcune tecnologie sono ancora all'avanguardia in Europa, la Cina sta rapidamente riducendo il gap. L'approccio cinese, che combina l'AI con una produzione altamente efficiente, sta mettendo sotto pressione le aziende europee. Molte di queste aziende si trovano a dover affrontare non solo una concorrenza tecnologica, ma anche una competizione sui costi, che le rende vulnerabili se non riescono a innovare continuamente. Questo pone sfide, ma anche opportunità per le imprese europee che sono disposte a investire in ricerca e sviluppo per mantenere la loro posizione di leadership».
Quindi, il protezionismo in crescita, come quello degli Stati Uniti verso la Cina, sta creando nuove opportunità per altri attori, come l'India?
«È vero che il protezionismo Usa sta spingendo molte aziende a diversificare le loro catene di approvvigionamento. L'India, ad esempio, potrebbe beneficiare di una parte di questa delocalizzazione, ma è ancora lontana dall'essere in grado di sostituire completamente la Cina. La Cina è estremamente efficiente nella produzione, e nessun altro paese riesce ancora a replicare questo livello di capacità produttiva».
Chi sta vincendo la partita Usa-Cina?
«La competizione tra Cina e Stati Uniti è molto complessa e non c'è un vincitore chiaro. Entrambi i paesi stanno affrontando sfide, ma in modo diverso. Gli Stati Uniti, con il protezionismo e le politiche restrittive, stanno cercando di limitare l'espansione cinese, ma la Cina è ben posizionata per continuare a crescere, specialmente nei settori innovativi. Alla fine, credo che nessuno stia davvero "vincendo", ma piuttosto stiamo assistendo a un ricalcolo degli equilibri globali. È una competizione che durerà ancora a lungo, e che richiederà alle imprese globali di adattarsi continuamente».
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