Il risveglio del Dragone, l’Europa torna al centro delle ambizioni cinesi
Nel 2024 gli investimenti diretti esteri di Pechino in UE e Regno Unito sono saliti del 47%, sfiorando i 10 miliardi di euro. Mentre l’industria europea fronteggia la concorrenza cinese cresce il peso strategico del Mediterraneo

Il risveglio del Dragone. Nel solo 2024, gli investimenti diretti esteri cinesi nell'UE e nel Regno Unito sono cresciuti del 47% rispetto al 2023, raggiungendo circa 10 miliardi di euro, secondo il Financial Times.
E tutto ciò mentre cresce la preoccupazione per le prospettive dell'industria europea, alle prese con l'ondata di concorrenza cinese a basso costo. In questo scenario, si rivaluta l'interesse strategico per il Mediterraneo.
Come ha ricordato Alessandro Panaro di SRM-Intesa Sanpaolo durante il recente forum triestino di Nord Est Multimedia (Nem) sulla Blue Economy, nel 2024 il 15% dei nuovi investimenti cinesi all'estero è stato destinato a porti, retroporti e terminal, con una presenza sempre più rilevante, dal Pireo (Grecia) a Valencia (Spagna), da Zeebrugge in Belgio a Vado Ligure.
Pechino continua a espandersi anche con nuovi investimenti greenfield (imprese create ex novo) in Europa. Come sottolinea Giorgio Prodi, professore associato di Economia applicata all'Università di Ferrara, "l'Europa sta assumendo un ruolo sempre più cruciale come mercato di sbocco per i prodotti cinesi, anche se non rappresenta ancora un partner strategico primario". Le barriere commerciali imposte da Trump hanno spinto la Cina a cercare nuovi mercati per le sue merci. Prodi cita come esempio emblematico la competitività delle auto elettriche cinesi: "Non si tratta solo di prezzi più bassi, ma anche di qualità e innovazione tecnologica, che stanno facendo dei produttori cinesi dei veri contendenti sul piano globale".
Questa trasformazione è resa possibile anche grazie agli ingenti investimenti in ricerca e sviluppo che la Cina ha indirizzato verso le nuove tecnologie. Secondo Prodi, la Cina sta investendo in particolare nell'intelligenza artificiale, utilizzandola per ottimizzare la produzione industriale, migliorare l'efficienza energetica delle auto elettriche e innovare nei settori della robotica e dell'automazione: "L'AI permetterà alle imprese cinesi di ridurre il gap tecnologico e di competere più efficacemente in settori che, fino a pochi anni fa, erano dominati dagli Stati Uniti o dall'Europa".
La strategia della Cina in Europa, quindi, non si limita a esportare beni, ma punta anche a una forte integrazione nelle filiere produttive, con investimenti significativi in settori ad alta tecnologia. Un esempio è rappresentato dallo stabilimento Catl a Debrecen, in Ungheria, per la produzione di batterie con un investimento da 7,5 miliardi di euro.
Mentre Pechino continua a investire in Europa, secondo un report di Allianz Trade, la crisi della logistica globale potrebbe raddoppiare i noli container, con pesanti ricadute sull'export europeo, amplificando l'incertezza per le imprese. Nell'era del protezionismo, le restrizioni commerciali — complice la nuova stagione dei dazi Usa — sono triplicate, colpendo merci per un valore di circa 2,7 trilioni di dollari, pari a quasi il 20% delle importazioni mondiali. Settori chiave come moda, meccanica, arredamento e agroalimentare devono ora convivere con costi logistici in ascesa, tempi di consegna più lunghi e margini compressi: "La vicinanza geopolitica e la resilienza logistica contano ormai quanto prezzo e qualità".
Per reagire, imprese e governi stanno ridisegnando le rotte commerciali: avanzano corridoi alternativi, nearshoring e friendshoring. La pressione sulle rotte asiatiche tradizionali sta aumentando il valore strategico del Mediterraneo e dei suoi porti chiave: Trieste, Venezia, Genova.
Il protezionismo in crescita, e in particolare le politiche restrittive degli Stati Uniti verso la Cina, stanno inoltre spingendo molte aziende a diversificare le loro catene di approvvigionamento, cercando soluzioni alternative in paesi come l'India o il Vietnam. "L'India potrebbe beneficiare di una parte di questa delocalizzazione", osserva ancora Prodi, ma aggiunge che nessun altro paese è ancora in grado di replicare l'efficienza produttiva della Cina. Tuttavia, conclude Prodi, Pechino, se vuole consolidare il suo ruolo come potenza commerciale globale, "non può semplicemente lasciare ad altri la gestione delle crisi internazionali, ma deve trovare un equilibrio".
In questo scenario, l'Italia si trova davanti a un bivio: accelerare sulle infrastrutture o perdere terreno. Secondo Allianz Trade, l'Italia ha un fabbisogno infrastrutturale che supera i 130 miliardi di euro entro il 2035, una cifra che va oltre le risorse già previste dal Pnrr. Si tratta di una sfida complessa, che richiede investimenti significativi in retroporti, intermodalità e digitalizzazione attraverso alleanze pubblico-privato: "I prossimi anni saranno cruciali per capire se l'Italia saprà sfruttare la sua posizione strategica o se sarà superata da porti più rapidi e meglio integrati in Grecia, Spagna e Nord Europa". Il porto di Trieste potrebbe sfruttare l’occasione. La sua posizione lo rende un hub naturale tra Mediterraneo ed Europa centrale, capace di intercettare flussi alternativi grazie alla forte integrazione mare-ferrovia.
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