Selmin, Ad del Sacchettificio nazionale Corazza: «Manca il personale riduciamo i turni»
«In molti vanno in pensione dopo una vita di lavoro e chi entra non vuole sentir parlare del lavoro di notte. Abbiamo investito per permettere alle persone di concentrarsi sulle attività a maggiore valore aggiunto»

«Dopo 15 anni ci troviamo costretti a ridurre il turno notturno a causa di una mancanza di personale a cui non riusciamo a fare fronte neppure con l’automazione». A dirlo è Alessandro Selmin, Ad del Sacchettificio Nazionale G. Corazza di Ponte San Nicolò, nel Padovano. Una realtà di eccellenza che occupa attualmente 225 persone e che si prepara a chiudere il 2024 intorno ai 90 milioni di euro, in linea con il 2023.
Quale ritiene sia la causa principale di questa perdita di interesse per il turno notturno?
«Il problema è il turnover dei lavoratori, in molti stanno andando in pensione dopo una vita di lavoro e chi entra non vuole sentir parlare del lavoro di notte, piuttosto preferisce la disoccupazione. D’altra parte è un turno che offre maggiorazioni salariali consistenti e solo fino a qualche anno fa era apprezzato da molti: è una modalità che permette di avere ampi spazi di tempo libero per godersi la famiglia o per seguire i propri interessi».
Dice che è una questione retributiva?
«Non direi: negli anni abbiamo fatto molto per migliorare le condizioni dei nostri collaboratori: lo stipendio di ingresso da noi è intorno ai 1.600 euro al mese per 13 mensilità e fin da subito si accede ad una serie di benefici di welfare aziendale che corrispondono a poco meno di una quattordicesima. Abbiamo una mensa interna che l’azienda paga per il 70% e i pasti si ordinano tramite app. Tutto ciò ancora prima di procedere alla formazione interna, necessaria in un’azienda ad alto tasso di automazione come la nostra. In pochi anni i 1.600 euro mensili crescono fino a superare, in alcuni casi, anche i 2.000 euro al mese il ché non credo sia male».
Allora qual è il problema?
«Credo sia una questione di percezione: i giovani preferiscono lavorare a giornata, dalle 9 alle 17, ma in un settore come il nostro, dove l’efficienza e la produttività sono strategiche è fondamentale che il ciclo produttivo sia costante. Attualmente ci mancano dalle 20 alle 30 persone, anche se nei mesi scorsi siamo riusciti a assumere una decina di lavoratori».
Che strategie adottate per il reclutamento?
«Per la produzione le abbiamo tentate tutte, social compresi, ma il sistema delle agenzie per il lavoro è quello che funziona meglio. Il problema è che quando si dice fabbrica si pensa spesso qualcosa di negativo, di rumoroso e di sporco. La realtà non è questa, tanto più in uno stabilimento all’avanguardia come il nostro. Per dimostralo abbiamo organizzato un “Welcome Day” che è stato un successo».
Cita molto spesso l’innovazione tecnologica, questa non vi ha aiutato a fare fronte alla crisi di personale?
«In parte sì: pensi che abbiamo un magazzino totalmente automatizzato da 90 mila metri quadri che può ospitare 18 mila pallet. Prima degli interventi tecnologici per gestirlo ci volevano 11 magazzinieri organizzati in due turni, ora sono solo in due e lavorano a giornata».
Non sono numeri sufficienti?
«Quando si affronta il cuore della produzione allora le persone sono strategiche. Senza le persone non c’è efficienza e valore aggiunto. Negli anni abbiamo investito per migliorare i nostri processi produttivi ed essere competitivi sui mercati internazionali. Lo abbiamo fatto forti di una marginalità che ci ha permesso di andare principalmente in autofinanziamento. Abbiamo investito in automazione, robotica e ora in intelligenza artificiale per i software gestionali. Lo abbiamo fatto per permettere alle persone di concentrarsi sulle attività a maggiore valore aggiunto ma, se ora mancano, anche la redditività potrebbe essere messa in discussione. Per ora il fenomeno è circoscritto ma se è vero che nell’arco di pochi anni a questo territorio mancheranno centinaia di migliaia di persone in età da lavoro la questione si farà seria».
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