La pordenonese Zero e la rivoluzione Deep Tech nell’agricoltura

Nel 2024 la società che costruisce impianti per la coltivazione al chiuso ha totalizzato 8,6 milioni di ricavi, un valore che quest’anno è atteso raddoppiare

Luca Piana

 

Daniele Modesto mostra un grafico di quelli che piacciono agli economisti. Rappresenta la curva della raccolta di investimenti da parte delle startup che volevano rivoluzionare il mondo dell’agricoltura, coltivando frutta e verdura al chiuso, in ambienti controllati, per rivenderle ai supermercati.

Il grafico è tipico di una bolla: c’è un’impennata nei primissimi anni dopo il 2020 - quando quelle che sembravano stelle venivano valutate in termini di miliardi di dollari - e poi c’è un crollo. L’Aerofarms del New Jersey, 238 milioni raccolti, è finita in bancarotta nel 2023, la portoghese Jungle, 55 milioni, nel 2024, la californiana Plenty, 941 milioni, pochi mesi fa.

Dopo il crollo degli ultimi anni, che ha azzerato la raccolta di investimenti delle cosiddette “vertical farms”, il grafico riprende a salire più gradualmente.

È a questa nuova progressione che Modesto, fondatore della Zero di Pordenone, guarda con attenzione: «Il vizio di fondo che ha determinato lo scoppio della bolla del vertical farming era determinato dal fatto che i finanziatori erano venture capital. Investitori di questo genere sono abituati ad attendersi rendimenti del 20-25% annuo, che in questo settore vanno contro ogni logica: come puoi pensare di ottenere ritorni simili vendendo insalata? Visti gli investimenti necessari, i tuoi prezzi non saranno mai paragonabili con i produttori tradizionali».

fuori dalla bolla

Zero, nata nel 2020, gli impianti per la coltivazione al chiuso li costruisce e può sembrare sorprendente ascoltare il fondatore esprimersi così. Ecco perché bisogna riportare gli occhi sul grafico e guardare a quando la curva torna a salire. «Quei progetti sono falliti perché erano nati nel contesto sbagliato e utilizzavano male le loro tecnologie. Fin da subito, invece, noi abbiamo puntato su un modello diverso», racconta Modesto.

«Abbiamo iniziato a sviluppare internamente le competenze di biologia, i software, i sistemi di AI, l’hardware che serve per costruire gli impianti. Non ci siamo messi a produrre ortaggi con lo scopo primario di venderli. Gli impianti che abbiamo realizzato e che sono già funzionanti, a Capriolo vicino a Brescia, oppure ad Abu Dhabi o in Russia, servono ai nostri partner e ai clienti per verificare che la tecnologia funziona, e che da lì si può partire per realizzare impianti di grande scala».

Non tutti i progetti che sono stati disegnati da Zero sono diventati realtà e alcuni sono stati abbandonati. Altri, però, stanno andando avanti e garantiscono alla società pordenonese un portafoglio di progetti in corso valutabile in «centinaia di milioni di euro», dice Modesto. Uno dei punti essenziali è avere finanziatori più pazienti dei venture capital, come fondi sovrani, fondi pensione, operatori industriali.

Il fattore energia

L’altro fattore determinante per la sostenibilità economica è la disponibilità di energia, integrando le vertical farms con impianti di produzione: di qui i progetti pilota ad Abu Dhabi, «dove con un partner regionale stiamo definendo gli accordi per la scalabilità industriale», oppure ad Al Karj, in Arabia Saudita, dove Zero con la catena di supermercati Tamimi e il colosso giapponese Mitsui, ha già avviato l’ampliamento del progetto.

Anche in Italia Zero sta lavorando a due sviluppi: uno in Puglia, per la produzione di zafferano, l’altro a Firenze, nell’ex area industriale di Bekaert. Qui verrà realizzato un parco fotovoltaico che servirà fra l’altro ad alimentare un impianto per produrre idrogeno. Il calore di scarto sarà utilizzato per climatizzare la vertical farm dove saranno coltivate piantine per il vivaismo, così come l’ossigeno che servirà un allevamento di salmoni.

Come tutte le aziende che non si possono più chiamare startup ma sono ancora in una fase di rullaggio, quale è Zero, servirà ancora tempo per capire dove potrà arrivare davvero. Nel 2024 i ricavi delle vendite sono stati pari a 8,6 milioni, da 7,1 milioni nel 2023, e la società è diventata redditizia sia a livello operativo che di risultato netto.

È chiaro, però, che la traiettoria di sviluppo diventerà più leggibile solo quando si concretizzeranno i primi progetti industriali, in un orizzonte di tempo che Modesto indica in 2-3 esercizi, già a partire da questo 2025. «L’azienda avrà due fonti di ricavo. La prima sarà di natura one off, attraverso la vendita degli impianti chiavi in mano, la seconda di tipo ricorrente, grazie alla gestione dei software che servono per farli funzionare», spiega l’imprenditore, che vede un raddoppio dei ricavi a partire da quest’anno, con un rafforzamento della redditività.

L’alleanza con le università

Se questo è l’oggi di Zero, in prospettiva c’è però un altro sviluppo che mira a una dimensione ben più ampia, che riguarda le Deep Tech, le tecnologie basate su scoperte scientifiche o innovazioni ingegneristiche e che puntano a cambiare dalle fondamenta il mondo della produzione industriale.

Per questo motivo Zero ha formato una joint venture basata a Roncade con l’Università di Ca’ Foscari, battezzata Future Farming Initiative. La società è partecipata da Zero con il 51% e dall’ateneo veneziano con il 49%, ed è stata finanziata con 20 milioni, divisi in quote paritetiche: Zero ha usato fondi propri, Ca’ Foscari quelli del Pnrr.

Qui l’asticella si alza. Modesto la spiega così: «La forza dell’Italia è la sua competenza manifatturiera. Il punto debole, invece, è storicamente il trasferimento tecnologico, in particolare dalla ricerca universitaria all’innovazione di prodotto nell’industria. Future Farming Initiative vuole operare come ufficio di trasferimento tecnologico, creando la connessione fra università, esperti di tecnologie e finanziatori», dice.

Per questo motivo la joint venture ha stretto accordi con molte altre università, come ad esempio lo Iuav di Venezia, gli atenei di Verona Padova, Trento, Udine, Trieste, istituzioni come la Sissa e l’Ogs, sempre triestine, o ancora il Cnr, in modo da poter attingere a un bacino più ampio possibile di ricercatori.

Una delle prime applicazioni che vedranno la luce sarà la vertical farm di zafferano per la quale si stanno definendo gli accordi in Puglia, così come quella di frutta e verdura già in implementazione in Arabia Saudita, che hanno visto una ricerca delle competenze necessarie proprio attraverso uno scouting tra le università partner.

Ma l’agricoltura in ambiente controllato è solo uno dei nove programmi di sviluppo lanciati da Future Farming Initiative, che riguardano ambiti che suonano subito più sfidanti, come l’utilizzo di virus, batteri, alghe e funghi quali piattaforme genetiche per la produzione di composti attivi, farmaci, integratori e così via.

Così come per Zero, ancora meno per Future Farming Initiative Modesto fa numeri su dove potrebbero arrivare questi business: «Ma tra le due attività, in prospettiva, non c’è confronto: stiamo parlando forse di uno a cento», dice. «L’importante, però, è capire che il sistema industriale del Nord Est deve cogliere questa sfida, sia a livello di collaborazioni industriali, sia per la ricerca dei capitali che serviranno allo sviluppo di ogni nuova idea».

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