Polegato: orgoglioso di 20 anni di Geox, siamo all’altezza del nuovo mercato

L’imprenditore: «Abbiamo creato una multinazionale a partire da un’idea che oggi difendiamo con 60 brevetti»

Maurizio Caiaffa
MARSON TREVISO CANVEGNO TOP 500-LE PICCOLE IMPRESE DI TV E PROVINCIA, IN FOTO MARIO MORETTI POLEGATO
MARSON TREVISO CANVEGNO TOP 500-LE PICCOLE IMPRESE DI TV E PROVINCIA, IN FOTO MARIO MORETTI POLEGATO

Pochi numeri, e invece la voglia di parlare dell’azienda che Mario Moretti Polegato ha creato dal nulla, la Geox, soprattutto in termini di visione, di una costruzione in grado di affrontare anche questi tempi difficili. «Il 2022 è importante soprattutto perché sono vent’anni che esiste Geox, comunque sia nell’esercizio siamo sulla strada del ritorno al fatturato del 2019», concede alla fine Polegato, 70 anni, evidentemente ritenendo alla portata gli 805 milioni di ricavi raggiunti nell’ultimo anno pre Covid. Poi soprattutto considerazioni sui primi venti anni di vita della sua creatura, l’azienda della “scarpa che respira”. Di cui Polegato, nella sede della holding Lir nel cuore di Treviso, parla facendo un vero e proprio bilancio.

Polegato, cos’è cambiato in questi vent’anni?

«Geox è diventata una realtà importante per il territorio, però la filosofia è rimasta la stessa degli inizi, quella riassunta nel nome Geox. C’è la terra e in quella x c’è la tecnologia. Siamo sempre stati e rimaniamo dentro la nuova economia, con tutte le sue complessità».

Geox avrebbe potuto nascere in un luogo diverso da Montebelluna?

«Ho il massimo rispetto di Montebelluna, anche se noi abbiamo creato una multinazionale che compete con altre multinazionali. Ma il punto è un altro. Montebelluna è il regno della scarpa sportiva, Geox invece produce scarpe che non sono sportive. Questa differenza ha comportato difficoltà enormi di creare il business in un territorio specializzato in un altro tipo di calzatura. I materiali, la manualità, lo stile, la distribuzione, la rete dei negozi: il know how della calzatura Geox è tutta un’altra cosa rispetto alla scarpa sportiva».

Dal suo punto di vista di imprenditore, qual è stata la carta vincente di Geox?

«Abbiamo gestito un’idea, la scarpa che respira, prima che l’azienda. Un’idea vale più della fabbrica. L’abbiamo protetta con i brevetti, che attualmente sono circa 60, investendo nella tutela della proprietà intellettuale. Continuiamo a puntare il 2% dei ricavi in ricerca e sviluppo. A Biadene di Montebelluna lavorano 600 persone, lì abbiamo anche i nostri laboratori con tecnici e ingegneri. Insomma abbiamo creato un marchio mondiale, presente in cento Paesi del mondo con 750 negozi e con 30 mila addetti fra diretti e indiretti».

Molti imprenditori lamentano la mancanza di manodopera specializzata. Qual è la situazione alla Geox?

«Non abbiamo questo problema, perché sin dall’inizio siamo stati e rimaniamo un sistema aperto ai giovani, che fa sistematicamente formazione. Abbiamo a turno venti-trenta ragazzi da tanti Paesi, rimangono da quattro a sei mesi e imparano innanzitutto l’inglese e l’etica, perché rappresenteranno l’azienda nel mondo».

I giovani che chiamate da fuori come si trovano a Montebelluna?

«Io a Montebelluna vivo benone, per i ragazzi però può essere stretta. Quindi abbiamo creato un campus, e per i 600 dipendenti di Biadene c’è il welfare aziendale: l’asilo aziendale che può accogliere fino a 75 bimbi ed è gratuito, lo smart working, i corsi di formazione per tutti anche in collaborazione con il Politecnico di Milano».

Parliamo del Veneto e del Nordest. Come giudica i suoi colleghi imprenditori?

«Il Nordest è conosciuto in tutto il mondo per le capacità dei propri imprenditori, però il 90% del tessuto locale è costituito di piccole e medie imprese, le grandi sono troppo poche».

Per farle crescere cosa si può fare?

«Serve cultura e capacità di delegare. Lo chiamo mutualismo, è la ricerca di manager specializzati nelle varie branche aziendali che vanno fatti lavorare insieme. È uno dei compiti più impegnativi che ho affrontato alla Geox, per fare il salto serve questo, altrimenti c’è la strada dei fondi. Beninteso, è una scelta imprenditoriale anche quella. Guardi però che non bisogna andare lontani per trovare esempi virtuosi».

A quale esempio si riferisce?

«Ma al prosecco. Tre consorzi che si sono uniti hanno creato un prodotto che compete con lo champagne. Un miracolo che vedo da vicino, perché mio fratello Giancarlo gestisce Villa Sandi e La Gioiosa. Ebbene, il prosecco ha fatto il cammino dello champagne quarant’anni fa. Un fenomeno ben gestito, perché altrimenti in questo mercato globalizzato il prosecco sarebbe stato destinato a restare il buon vino di tante piccole cantine. Invece no. E allora la lezione qual è? »

Dica.

«Non possiamo sottrarci al mondo, dobbiamo imparare, se non impari sei fuori. L’imprenditore si deve adattare ed è questo che abbiamo fatto noi alla Geox, siamo unici a Montebelluna e ne sono orgoglioso».

Che giudizio dà della fusione confindustriale Padova-Treviso con Venezia-Rovigo?

«Ho espresso sin dall’inizio un parere positivo sulla fusione e la creazione di Confindustria Veneto Est, che fa nascere un’area economica di circa 100 miliardi di Pil. Questo territorio è chiamato ad accrescere la sua competitività puntando sull’integrazione per giocare, come ha sottolineato Leopoldo Destro durante l’assemblea costitutiva, la partita in fatto di rappresentanza sia in Europa, sia nella competizione globale, oggi più complessa che mai».

La sua azienda è quotata in Borsa. Diverse grandi imprese sono uscite dalla Borsa, magari rimpiazzate da piccole imprese. Lei ha mai pensato al delisting?

«No. La Borsa è uno stimolo che giorno per giorno ci obbliga a confrontarci con il mercato, a fare investimenti. La nostra è un’azienda che è partita da me, ma ora è fatta da un grande gruppo di lavoro».

Tornando al Nordest, un altro problema delle nostre imprese, che sono spesso familiari, è la successione generazionale. Lei è fortunato, suo figlio Enrico alla Diadora ottiene risultati.

«Ai miei colleghi imprenditori consiglio di pensare per tempo alla successione. Personalmente sono fortunato soprattutto perché ho solo un figlio».

Capita che gli eredi non ne vogliano sapere dell’azienda del padre.

«Seriamente, è una sorpresa anche per me che Diadora sia rifiorita in un mercato così impegnativo. L’Italia aveva la supremazia nello Sportsystem, oggi i marchi americani e tedeschi sono diventati più forti. Mio figlio è avvocato, parla sette lingue, non perde i contatti con le università. Ed è stato bravo a circondarsi di manager capaci. A metà gennaio verrà con me a Davos, entrambi siamo curiosi di capire dove va il mondo».

E dove va fra il rincaro dell’energia, quello delle materie prime e la guerra?

«I protagonisti sono Biden e Xi Jinping. Noi abbiamo bisogno del primo perché abbiamo gli stessi valori democratici. E del secondo perché la Cina oggi significa tecnologie e innovazione. Quindi mi auguro che l’architettura europea, sul piano costituzionale, economico, militare, venga modificata per essere in grado di interagire con quei due colossi».

Il governo Meloni però con l’Europa sembra avere un rapporto quantomeno complesso.

«Ho il massimo rispetto della politica, da non politico dico che le tensioni di queste settimane non sono importanti, l’importante è essere consapevoli del quadro complessivo, globale nel quale ci muoviamo»

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