Moda, parte da Venezia il piano anti fast-fashion: «Tutelare il Made in Italy»
A preoccupare maggiormente gli imprenditori della moda è l’imperversare delle due piattaforme cinesi del fast fashion più conosciute. Arrivano quasi un milione di pacchi al giorno dalla Cina, con abbigliamento e calzature che giungono nelle case degli italiani senza controlli di qualità

Contrasto all’ultra fast fashion, controllo di filiera e dialogo costante tra gli operatori del settore: sono questi i contenuti del nuovo piano industriale della moda che viene presentato oggi, alla Fondazione Cini dell’isola di San Giorgio (Ve), nell’ambito della quarta edizione del Venice Sustainable Fashion Forum, il summit dedicato alla transizione sostenibile della filiera moda, promosso da Confindustria Moda, The European House – Ambrosetti (Teha) e Confindustria Veneto Est – Area Metropolitana Venezia Padova Rovigo Treviso.
«La presenza dell’evento a Venezia è simbolo della vivacità del comparto moda della regione e sarà un’occasione importante per dare visibilità ai nostri distretti di produzione della moda e calzatura», dice il vicepresidente del Sistema Moda di Confindustria Veneto Est, Andrea Favaretto Rubelli, «nel nostro territorio ci sono tantissime eccellenze e la presenza degli imprenditori milanesi significa molto: dobbiamo radunare le filiere e fare squadra, per affrontare le nuove sfide con gli strumenti e lo spirito giusto».
A preoccupare maggiormente gli imprenditori della moda è l’imperversare delle due piattaforme cinesi del fast fashion più conosciute. «Arrivano quasi un milione di pacchi al giorno dalla Cina, con abbigliamento e calzature che giungono nelle case degli italiani senza controlli di qualità e le verifiche necessarie a tutelare la salute delle persone», prosegue Rubelli, «questi arrivi stanno aumentando del 18-20% ogni anno: si tratta, prevalentemente, di pacchi al di sotto dei 150 euro, che non pagano dazi, non sono soggetti all’Iva e non sono sottoposti ad alcun tipo di controllo. Legalmente, oggi, è così e questo non può essere accettato. Sia perché costituisce concorrenza sleale nei confronti delle aziende del Made in Italy, sia perché si tratta di prodotti sconosciuti nella loro composizione e potenzialmente rischiosi per la salute».
Se questi pacchi contenenti capi d’abbigliamento, arrivano nel Paese, significa anche che qualcuno li acquista, principalmente per ragioni legate alla necessità di risparmiare e al basso costo dei prodotti: «Il tema del giusto prezzo è senza dubbio importante», evidenzia Rubelli, «in particolare, nell’ambito del lusso, complice la crisi generale, si è verificato senza dubbio un abuso nell’aumentare i prezzi e i moltiplicatori: deve esserci una proporzione adeguata tra il costo di produzione e il prezzo a cui viene venduto un capo d’abbigliamento o una calzatura in negozio. Anche questo sarà tra i temi al centro del piano industriale».
La nuova legge ha introdotto una certificazione volontaria della filiera moda, per garantire legalità e trasparenza, dovrebbe servire anche a questo: «Attraverso la nuova legge, che dovrebbe stabilire anche dei minimi sindacali per la manodopera nella fase di confezionamento, si metterà in atto una verifica della filiera, evitando che i prezzi diventino inaccessibili». Sempre nel contesto del nuovo piano industriale, c’è la volontà di collaborare con i colleghi francesi, detentori del primato nel settore, per lavorare tutti insieme: «Sarà necessario il confronto con la politica e con l’Unione europea», conclude Rubelli, «non solo: da quest’anno, il Forum sarà un punto di partenza di un percorso molto più ampio e continuativo. Fino ad ora è stato un appuntamento annuale, ma l’idea è che il lavoro debba essere più strutturato, una tappa di un percorso che continuerà tutto l’anno». —
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