Infrastrutture e più debito, il segnale della Germania

Silvia Moretto: «Ben venga il piano da 500 miliardi di euro»

Paolo Fantoni: «Ora va cambiata la governance europea»

Maura Delle Case

 

La grande locomotiva tedesca dà segnali di ripresa. Lo scorso mese di marzo la produzione industriale in Germania ha messo a segno una crescita del 3%, dopo il -1,3% di febbraio. Un segnale che le imprese di casa nostra, per le quali quello tedesco è uno dei mercati d’elezione, guardano attentamente e con grande speranza.

Un sentiment rafforzato dal piano del nuovo cancelliere tedesco Friedrich Merz: investimenti pubblici da 1.000 miliardi, nelle infrastrutture, nella transizione energetica e nella difesa, quest’ultima svincolata dal freno al debito che mette fine a decenni di conservatorismo fiscale tedesco.

L’obiettivo è riportare l’economia della Germania su un percorso di crescita, investendo e riformando. A beneficiarne, oltre ai tedeschi, reduci da una recessione senza precedenti, dovrebbero essere anche i Paesi che vantano un interscambio commerciale importante con Berlino. Tra questi l’Italia e il Nord Est. Per il Veneto quello tedesco è il primo mercato estero, pesa il 13,1% dei suoi 80,2 miliardi di export totale. Per il Friuli Venezia Giulia è il secondo (dopo gli Usa) e vale l’11,4% di 19,1 miliardi di esportazioni complessive.

interscambio

Per le due regioni, l’export verso la Germania nel 2024 si è chiuso in forte contrazione. Il Friuli Venezia Giulia ha perso il 7% in valore rispetto all’anno precedente, passando da 2,3 miliardi a meno di 2,2. Il Veneto ha ceduto il 5%, da 11,1 miliardi a 10,5. La flessione è dovuta in particolare alla manifattura, che ha registrato nell’anno una contrazione delle esportazioni verso Berlino del 6% in entrambe le regioni.

Diversi i settori dell’industria penalizzati dalla frenata tedesca. Su tutti quello dei prodotti della siderurgia, che hanno perso nell’anno rispettivamente il 27% in Friuli Venezia Giulia e il 19% in Veneto, al contrario delle bevande e degli alimentari, che hanno registrato un consistente balzo in avanti. Specie le prime. E specie per il Friuli Venezia Giulia che ha registrato un aumento del +44% (+4% in Veneto).

In attesa dei dati relativi ai primi mesi di quest’anno, un segnale positivo è arrivato come detto lo scorso mese di marzo dal rimbalzo della produzione industriale tedesca: +3% sul mese precedente. Dato episodico o indizio dell’attesa inversione di tendenza? Difficile a dirsi secondo l’economista Fedele De Novellis, partner di Ref Ricerche, anche perché molto dipenderà dai dazi americani.

«Il rimbalzo della produzione industriale tedesca andrà misurato nei mesi a venire, anche alla luce degli annunciati dazi americani il cui effetto, per ora, è quello di aver alimentato un importante stato di incertezza nelle imprese» afferma De Novellis.

Investimenti in forse

Quali merci andranno a colpire? Quanto pesantemente? A partire da quando? I continui annunci e contro annunci di Donald Trump, le accelerazioni e i passi indietro hanno contribuito ad alimentare un clima di forte incertezza «che rischia di frenare gli investimenti delle imprese che materialmente si ritrovano ad avere poche certezze sul futuro quadro macroeconomico» continua De Novellis. «Di questo rallentamento l’Italia rischia di far le spese. Penso ad esempio agli effetti che potrà avere sulla domanda di macchinari, uno dei settori di punta delle esportazioni verso il mercato tedesco del nostro Paese».

Del resto, De Novellis guarda con un certo grado di fiducia al «possibile alleggerimento dei vincoli alle emissioni di CO2 che dovrebbero essere diluiti nel tempo e quindi restituire un po’ di respiro alle case automobilistiche, il che – afferma – può essere un aiuto per l’industria tedesca dell’automotive e a cascata per quella italiana della fornitura di componenti».

C’è poi il bazooka fiscale voluto dal cancelliere Merz. «Il nuovo Governo ha messo sul piatto riforme significative, anche in questo caso però non possiamo attenderci effetti a stretto giro, li misureremo a medio termine».

Riguarderanno, a sentire De Novellis, i settori dei prodotti in metallo, degli apparecchi elettrici, dell’indotto automotive. «A trarne una spinta positiva saranno settori specifici. Il made in Italy più di consumo sarà meno impattato».

Il sentiment delle imprese

Sguardi puntati dunque a Berlino. Le prime mosse del governo Merz vengono passate alla lente d’ingrandimento dalle imprese del quadrante orientale del Paese. Come pure i segnali che vengono dalla produzione industriale. «Cosa ci aspettiamo? Diciamo che speriamo sia il primo segnale di un trend che vada poi a consolidarsi lungo tutto l’anno. Per trarre conclusioni, un mese di crescita non è certamente sufficiente, per altro il dato su base annua relativo alla produzione industriale tedesca è ancora negativo. Mettiamola così: speriamo sia la rondine che fa primavera» dice Silvia Moretto, ceo di DB Group e consigliera delegata per gli Affari Internazionali di Confindustria Veneto Est.

«La Germania è per noi il primo mercato estero, assorbe il 13,5% delle esportazioni, e non solo nell’automotive, ma anche nei settori dei macchinari, dell’alimentare, dei prodotti in metallo, dei mezzi di trasporto, della moda. Abbiamo con il grande Paese tedesco una solidissima partnership, che nel 2024 ha perso il 5,5% del valore. Siamo dunque molto preoccupati e ripeto, ci auguriamo che il dato di marzo sia il primo indizio di un grande recupero della Germania». Sospinto dai piani di investimento. «La decisione presa dal cancelliere Merz di far saltare i paletti del debito è un altro passo importante. La Germania si è sempre distinta per il suo rigore, ma a un certo punto è necessario fare i conti con la realtà. Ben venga dunque il piano da 1000 miliardi per sostenere la ripresa. Bene per i tedeschi, che hanno bisogno di segnali concreti, e bene per noi».

Una lezione per l’Europa

Saluta con favore quello che definisce «un cambio di atteggiamento tedesco» anche Paolo Fantoni, presidente dell’omonima azienda produttrice di pannelli di Osoppo e numero uno di Assopannelli. Un altro settore, quello del legno-arredo, che ha pagato un prezzo importante alla crisi tedesca. Più che al 3% di crescita della produzione industriale a marzo, «un dato al momento non ancora di facile lettura» precisa Fantoni, l’industriale friulano guarda al varo delle nuove politiche tedesche e agli effetti che queste potrebbero avere sull’Europa.

«Il cambio di atteggiamento da parte del governo tedesco è “most welcome” – dichiara –, speriamo sia un buon viatico per iniziare a pensare a come rimuovere quegli elementi di governance europea che ci stanno penalizzando. Penso al superamento del voto totalitario verso decisioni a maggioranza allargata, piuttosto che alla visione di una governance monetaria molto più elastica ed espansiva rispetto agli errori tragici fatti negli ultimi 20 anni che hanno portato al dramma greco e una politica economica fallimentare».

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