Imprese, frenano gli investimenti: «Serve subito Transizione 5.0»

Le incertezze sulle decisioni dela Banca centrale europea in merito ai tassi di interesse, le tensioni geopolitiche in Europa e Medio Oriente e, soprattutto, il ritardo del governo Meloni nell’emanare il decreto attuativo del credito di imposta Transizione 5.0 raffreddano gli investimenti delle imprese, tanto che più di una su quattro prevede un calo rispetto al 2023.
È quanto emerge dal focus “Le imprese tra investimenti e capitale umano.
Le opinioni degli imprenditori di Confindustria Veneto Est” realizzato dall’associazione degli industriali in collaborazione con Fondazione Nord Est, tra aprile e maggio 2024 su un campione di 806 imprese. Risultati che spingono il vicepresidente vicario Alberto Zanatta a rivolgere un appello direttamente al governo.
«Chiediamo», afferma, «di emanare subito il decreto attuativo del credito di imposta Transizione 5.0, annunciato da molti mesi, perché sia utilizzabile già da metà luglio, visto l’attuale orizzonte temporale limitato al 31 dicembre 2025 per poterne usufruire, con regole di ingaggio chiare e facilmente accessibili, così da sprigionare i 6,3 miliardi del Pnrr nei tempi previsti e permettere alle aziende di finalizzare gli investimenti in tecnologia e competenze per la digitalizzazione e il risparmio energetico».
Dallo studio emerge che quasi tre imprese su dieci (27,2%), con un’incidenza maggiore tra le piccole (30,1%), intendono ridurre gli investimenti, rispetto ai livelli dell’anno precedente.
Nel corso del 2024 il 40,8% degli imprenditori prevede di investire tra l’1 e il 2% del fatturato mentre circa tre su dieci una quota compresa tra il 3-5%; il 16% oltre il 5% dei ricavi.
Innovazione e capitale umano rappresentano i driver per gli investimenti: tra quanti prevedono di investire, quasi otto imprenditori su dieci (78,4%) lo faranno nella formazione per aggiornare o sviluppare nuove competenze in azienda; il 67,1% effettuerà investimenti in tecnologie e reti informatiche, il 63,9% nel welfare aziendale, il 61,0% in impianti e macchinari.
Dal punto di vista finanziario i tassi ancora alti e le condizioni di finanziamento restrittive, inducono le imprese a ridurre la domanda di credito bancario per gli investimenti.
La quota maggioritaria, concentrata nelle imprese medio-grandi, ha fatto maggior ricorso all’autofinanziamento, compensando la minore leva con le scorte di liquidità, per non richiedere nuovi finanziamenti a costi più elevati.
Il 12,7% ha richiesto finanziamenti bancari a medio-lungo termine; il 6,3% a breve (il 4,1% leasing; appena il 2,6% incentivi pubblici).
«Gli imprenditori continuano ad investire oggi, sia pure con maggior cautela, per affrontare un riposizionamento tecnologico, digitale e geografico e ritagliarsi un importante vantaggio competitivo nel prossimo futuro», afferma Federico Zoppas, consigliere delegato di Confindustria Veneto Est per l’Ufficio Studi, «affinché questo accada vanno rimossi i fattori di incertezza». Tra questi c’è ovviamente il costo dell’energia. «Ci penalizza rispetto agli altri Paesi europei», aggiunge Zanatta, «puntare a un costo unico dell’energia, laddove oggi l’Italia paga 86 euro a mwh, la Spagna 14, la Francia 28, e all’indipendenza energetica, con il nucleare nel mix di fonti, per raggiungere gli obiettivi climatici garantendo allo stesso tempo il futuro dell’industria nazionale ed europea».
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