Il Nord Est colpito dai dazi: «Serve una reazione»

Le imprese fanno i conti con l’accordo imposto dagli Stati Uniti all’Ue: «Un danno per molti dei nostri settori simbolo, ora compensazioni»

Maura Delle Case

Il mantra sembra essere “meglio un accordo, ancorché insoddisfacente, piuttosto che l’incertezza”. Questo il sentiment dell’economia nordestina riguardo all’intesa raggiunta tra Stati Uniti e Unione Europea sui dazi.

A sentire le principali associazioni di categoria, le imposte doganali fissate al 15% non saranno indolori, ma almeno mettono fine a lunghi mesi di precarietà. E se per chi fa Made in Italy e alta qualità il timore sembra essere più contenuto, aumenta invece lì dove le dimensioni d’impresa decrescono e la marginalità si fa più sottile.

Da qui la richiesta, corale, rivolta dalle categorie ai vertici del governo Meloni e dell’Ue affinché mettano sul tavolo, e in fretta, misure compensative capaci di sostenere le imprese e attutire il colpo dei dazi.

«Dopo uno stillicidio durato mesi, finalmente questo accordo porta una certa stabilità, sebbene manchino ancora molti dettagli che potrebbero fare la differenza – dichiara il presidente di Confindustria Veneto, Raffaele Boscaini –. Per le aziende è fondamentale poter pianificare e organizzarsi con dei dati alla mano».

Stando ai conti realizzati da Adacta Tax & Legal, i dazi al 15%, per il solo Veneto, significheranno una contrazione del 10% dell’export manifatturiero, pari a una perdita di 716 milioni di euro.

Molto meno possibilista di Boscaini è Luigino Pozzo, presidente di Confindustria Udine, per il quale «l’unico elemento positivo di questa intesa sui dazi al 15% è che, finalmente, si è fatta una scelta: peccato sia quella sbagliata». «L’Europa ha accettato una logica protezionistica che danneggia gravemente le sue stesse imprese. L’unica scelta possibile era un dazio pari a zero. Qualsiasi altra soluzione _ aggiunge Pozzo – rappresenta un cedimento e un errore strategico». Altrettanto dura Barbara Beltrame Giacomello, presidente di Confindustria Vicenza, che definisce insoddisfacente l’accordo, ricordando come «per ottenere il 15% di dazi, in un momento in cui il dollaro è debole, e per mantenere il 50% sull'acciaio, pagheremo 750 miliardi in acquisti energetici in 3 anni e 600 in investimenti che si aggiungono a quelli che ci sono già».

A pagarne il prezzo più alto rischiano di essere le micro e piccole imprese artigiane per le quali Roberto Boschetto, presidente di Confartigianato Imprese Veneto, chiede al governo Italiano e all’Ue «misure compensative, semplificazioni doganali e un piano di sostegno all’export. Non possiamo permettere che chi fa qualità venga penalizzato solo per le dimensioni ridotte della propria impresa».

«Questo nuovo assetto tariffario – evidenzia ancora Boschetto – rischia di tradursi in un colpo proprio per quei settori simbolo del nostro saper fare: gioielleria, occhialeria, macchinari e bevande».

Il presidente di Cna Padova e Rovigo, Luca Montagnin, chiede a sua volta interventi al governo, in particolare l’attivazione urgente di tavoli con le categorie economiche «per capire le difficoltà delle imprese così da intervenire per tempo a supporto di un sistema che è strategico per lo sviluppo socio-economico del Paese».

L’accordo è visto come un passo avanti, tuttavia insufficiente, dal presidente di Coldiretti Fvg, Martin Figelj: «Rispetto all’ipotesi di salire al 30%, il 15% è ovviamente una buona notizia, ma per settori chiave dell’economia regionale, come vino e formaggi, servirebbe scendere almeno al 10%». Sulla stessa linea il numero uno di Confagricoltura Veneto, Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi, che parla a sua volta di «un passo avanti, perché mette fine a mesi di incertezza. Non possiamo però nascondere la nostra preoccupazione per un’intesa che introduce dazi che avranno un sicuro impatto diretto sulla competitività internazionale delle aziende venete. Per il vino – conclude – si stima un danno potenziale di quasi 400 milioni di euro all’anno».

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