Dazi, Moretti Polegato: «Il Prosecco è democratico. Potrà rallentare, non fermarsi»

Il presidente di Villa Sandi: «Le esportazioni delle tre denominazioni arrivano a 130-135 milioni di bottiglie, il mercato americano assorbe più del 20%»

Roberta Paolini

Giancarlo Moretti Polegato è a capo di Villa Sandi, cioè il prosecco di Valdobbiadene e il Collio di Borgo Conventi.

Presidente è arrivata finalmente la notizia ufficiale sugli annunciati dazi americani: un 15% che chiude mesi di incertezza e trattative. Come valuta la misura e quali novità sono trapelata al riguardo dell’inclusione o meno del comparto vino?

«Siamo stati minacciati prima con il 50%, poi con il 30%. Alla fine, quello che è stato comunicato ieri è un 15%, ma sul vino la partita è ancora aperta. Le speranze sono fondate: il vino è un prodotto che non si può delocalizzare, è strettamente legato al territorio, alle nostre denominazioni. Il Prosecco, per esempio, si produce solo in un’area precisa d’Italia. Anche la presidente Ursula von der Leyenha ha confermato che per il vino non c’è ancora nulla di definito. Potremmo trovarci di fronte a un’esclusione dai dazi oppure a un’aliquota più bassa».

E se invece il 15% dovesse essere applicato anche al vino italiano, che impatto avrebbe sull’export?

«Non sarebbe una passeggiata, ma nemmeno un dramma. Ricordo ancora quando con l’amministrazione Trump si paventava un dazio del 50%, poi ridotto al 30%. Il 15%, per un prodotto che ha una forte identità e popolarità negli Stati Uniti, sarebbe comunque gestibile. Il vino italiano ha una sua forza: solo noi possiamo produrre Prosecco. È un prodotto richiesto, in crescita, e anche quest’anno sta performando bene negli Stati Uniti».

A bocce ferme, quanto costerebbe in più una bottiglia?

«Dipende dal prezzo di partenza. Se un Prosecco esce dalla cantina a 5 euro, un 15% significa 0,75 euro in più. Ma se parliamo di un prezzo medio più basso, anche 4 euro, il rincaro è proporzionato. Naturalmente ci sono le diverse denominazioni: Doc, Docg Conegliano Valdobbiadene, ognuna con un suo prezzo, ma l’incidenza è su quella base di partenza».

Quanto Prosecco esportiamo oggi negli Stati Uniti in termini di volumi e valore?

«Non ho il dato in milioni di euro, ma parliamo di circa 130-135 milioni di bottiglie, considerando le tre denominazioni. Il mercato americano assorbe più del 20% del nostro export, è una quota importante, tra le più rilevanti in assoluto per il nostro settore».

La Gran Bretagna, invece, ha ottenuto condizioni più favorevoli. Può diventare una piattaforma utile per aggirare almeno in parte l’impatto del dazio americano?

«La risposta purtroppo è no. Perché tutto si gioca sull’origine del prodotto. Se il vino è italiano, anche se passa per la Gran Bretagna, resta italiano. E quindi il dazio si applica lo stesso. È vero che Londra ha spuntato un 10% contro il nostro 15%, probabilmente hanno saputo negoziare meglio. Ma il vino resta legato al suo Paese d’origine».

In questi mesi di incertezza, avete già visto effetti concreti sul mercato statunitense?

«Direi di no. Abbiamo chiuso il primo semestre senza flessioni verso gli Stati Uniti. Il mercato tiene, i dati del Prosecco nei vari consorzi sono positivi. Non c’è stata la crescita sperata, ma nemmeno contraccolpi. E ora siamo già nel settimo mese. I segnali sono buoni. Certo, c’era attesa per una decisione definitiva, e ora ce l’abbiamo, ma se il 15% non riguarderà il vino, potremmo continuare come prima. C’è speranza e fiducia».

In ogni caso, lei resta ottimista sulle prospettive del Prosecco negli Stati Uniti?

«Assolutamente sì. Anche perché parliamo di un prodotto con un prezzo democratico. Non è uno sfizio di lusso: è accessibile, piace a tanti consumatori americani, e questo conta. Se anche costasse un po’ di più, ci potrebbe essere un rallentamento, ma non un blocco. Anche nello scenario più pessimista, con il 15% confermato, non vedo un dramma. Il Prosecco si vende in tutto il mondo. Noi come azienda siamo presenti in 130 Paesi. Se ci fosse stato un embargo sarebbe stato un problema serio, ma non è questo il caso».

Un’eventuale perdita negli Stati Uniti sarebbe compensabile altrove?

«Nel breve periodo no. I tre grandi mercati per il vino italiano sono Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania. Sostituirli non è semplice. Ma un rallentamento sì, possiamo redistribuirlo. Il Prosecco è un prodotto apprezzato ovunque. I dati sull’export finora sono positivi. Il dazio può influire, ma non fermarci».

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