Il caldo infiamma le fabbriche: i dipendenti di Modine lasciano lo stabilimento

La colonnina di mercurio a Pocenia ha superato i 40 gradi. Troppi per lavorare in sicurezza secondo il sindacato che ha proclamato uno sciopero per tutto il pomeriggio. Altissima l’adesione dei lavoratori che all’azienda non “perdonano” di produrre sistemi di refrigerazione industriale e lasciar loro a lavorare con in un clima tropicale.   

Maura Delle Case

UDINE. L’emergenza climatica infiamma anche le fabbriche dove in questi giorni di caldo estremo, di siccità, di incendi che divampano come fossimo in California e non a Nordest, lavorare diventa faticoso. Forse anche pericoloso.

A fare i conti con la colonnina di mercurio schizzata oltre i 40 gradi ieri sono stati i lavoratori della Modine di Pocenia. Una beffa considerato che l’impresa, forte di 900 persone a libro paga in Fvg tra Pocenia (600) e Amaro (300), produce sistemi di raffrescamento industriale. 

Nonostante il business, all’interno dei suoi stabilimenti Fvg sistemi per abbassare la temperatura non ce ne sono e così, ieri, la colonnina di mercurio a Pocenia è schizzata ancora una volta in alto. Troppo in alto. Oltre i 40 gradi nel primo pomeriggio. Troppi per lavorare si sono detti i dipendenti – circa 200 quelli di turno pomeridiano – che hanno deciso, sui due piedi, d’incrociare le braccia. Consultate le segreterie sindacali, i delegati Rsu hanno proclamato un pomeriggio di sciopero.

L’adesione? Altissima. «Credo sia uscito dalla fabbrica circa il 98% degli operai presenti in quel momento – fa sapere il delegato Rsu ed Rls Emiliano Santi -. Il motivo è anzitutto legato al fatto che noi produciamo sistemi di raffrescamento e nonostante questo non ne ricaviamo alcun beneficio all’interno degli stabilimenti di produzione dove, con queste condizioni climatiche, lavorare è davvero difficile». 

Difficile e pericoloso a sentire le segreterie dei metalmeccanici. «I lavoratori rischiano colpi di calore» denunciano Maurizio Marcon (Fiom Cgil) e Fabiano Venuti (Fim Cisl) che aggiungono: «Sono settimane che chiediamo all’azienda d’intervenire installando sistemi di raffrescamento, che hanno un costo e consumi contenuti.

Stando a quanto riferito dal sindacato, gli appelli ad intervenire sono poco meno che caduti nel vuoto. «Per darci un contentino hanno riattivato alcuni convettori in raffrescatori, ma non sono posizionati in modo idoneo, così non servono a nulla» dichiarano ancora i sindacalisti che bollano il comportamento di Modine come «il tipico esempio di calzolaio con le scarpe rotte: fanno refrigerazione per l’industria e per i loro dipendenti non fanno nulla». 

L’emergenza caldo s’innesta, in Modine, in un quadro di relazioni sindacali complicate che vede in corso da tempo una trattativa sul contratto integrativo tutt’altro che prossima ad andare a segno. 

L’auspicio è ora  che l’azienda prenda delle contromisure per abbassare la temperatura all’interno degli stabilimenti. Se così non fosse, se garanzie non dovessero arrivare a stretto giro, lunedì gli stop potrebbero riprendere. 

«A tutela della salute dei lavoratori» ribadiscono i sindacalisti avvertendo che se il caso Modine fa rumore, perché l’azienda è grande e sindacalizzata, il problema del caldo sui luoghi di lavoro è tutt’altro che una rarità. 

«Ci sono centinaia di aziende dove i lavoratori soffrono questa stessa situazione ma che non entrano nei nostri radar e dove non ci sono nemmeno soluzioni palliative. Il problema – denunciano Marcon e Venuti – è sempre più serio e va risolto. Oggi più che mai con il clima che è cambiato e le conseguenze che entrano fin dentro le fabbriche. Sono molte le aziende che hanno già provveduto, pensiamo ad Elextrolux professional e a Dl Radiators, tanto per citarne due, ma tante altre invece non hanno ancora fatto nulla». 

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