Gozzi: «Dazi Usa e acciaio a basso costo minacce anche per il Nord Est»
L’analisi di Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e amministratore delegato del gruppo Duferco: «Quello raggiunto con gli Stati Uniti è un compromesso al ribasso»

«Il vero problema non sono solo i dazi diretti, ma le conseguenze indirette che questo accordo rischia di innescare. E le imprese del Nord Est, nonostante la presenza di campioni europei del settore, rischia di esse particolarmente esposto».
Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e amministratore delegato del gruppo Duferco, lo dice senza mezzi termini: «Quello raggiunto con l’amministrazione americana è un compromesso al ribasso».
Cosa non la convince di questa intesa commerciale con gli Stati Uniti?
«Prima di tutto che c’è stata poca trasparenza dato che non sappiamo quali sono stati, in realtà, i punti oggetto del negoziato. Poi anche il 15% rappresenta un problema per un Paese esportatore come l’Italia. Ed è una tariffa a cui va aggiunta la svalutazione del dollaro. Si tratta di elementi negativi nonostante i timori che la percentuale imposta dagli Stati Uniti potesse anche essere maggiore».
Ma l’Italia ormai esporta pochissimo acciaio negli Usa, giusto?
«Nel 2018, prima dei dazi voluti da Trump, mandavamo oltreoceano circa 3 milioni di tonnellate. Oggi siamo crollati a 200. 000: appena l’1% della produzione. Il problema oggi è che, con l’America chiusa, i grandi produttori internazionali cercheranno sbocchi altrove. E l’Europa, che ha un sistema di difesa commerciale farraginoso, rischia di diventare il bersaglio principale di acciaio a basso costo proveniente da Asia e Sud America».
Questo può creare uno squilibrio di mercato?
«Assolutamente sì. Già oggi le normative antidumping europee sono lente e poco efficaci. Il sistema di salvaguardia è debole. Il risultato sarà una pressione al ribasso sui prezzi, che può mettere in crisi anche aziende solide. Ed è paradossale, perché ad esempio molte imprese italiane – soprattutto nel Nordest – stanno investendo pesantemente per diventare le prime in Europa a produrre acciaio green».
Quali settori saranno più colpiti?
«L’automotive sicuramente, perché è uno dei maggiori utilizzatori di acciaio e alluminio. Facendo un rapido calcolo quello che perderà il settore varrà circa un milione di tonnellate di acciaio. E il Nordest, che rappresenta una delle aree industriali più evolute d’Europa, è in prima linea. Eppure, l’Unione europea continua a ignorare la vera emergenza: la competitività delle sue imprese».
In che senso?
«L’Europa è afflitta da un eccesso di regolamentazione, spesso scollegato dalla realtà produttiva».
E nonostante questo eccesso di regole non sembra in grado di proteggere la sua economia.
«Infatti continuiamo a restare scoperti. Il mercato europeo è aperto, vulnerabile, e le contromisure sono lente. La vera priorità oggi dovrebbe essere quella di rafforzare i nostri strumenti di difesa commerciale».
Una via d’uscita esiste?
«Le imprese italiane, anche nel Nordest, hanno già dimostrato di sapere fare la loro parte. Sono pronte per la transizione ecologica, stanno guidando l’innovazione tecnologica e si stanno posizionando in prima fila nella produzione di acciaio verde. Ma serve un’Europa che accompagni questo sforzo, non che lo ostacoli».
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