Brussi: «Con i dazi gli Usa si chiudono per rafforzarsi. Per Danieli impatto limitato»

Il presidente del gruppo di Buttrio interviene sullo scontro commerciale: «Il nostro settore regge meglio rispetto a chi lavora con prodotti da consumo immediato»

Giorgio Barbieri
Alessandro Brussi, presidente di Danieli Group
Alessandro Brussi, presidente di Danieli Group

«L’obiettivo è evidente: riportare la produzione dentro i confini, rendere l’industria americana più autosufficiente e meno dipendente dalle filiere globali».

Mentre molti osservatori europei suonano l’allarme per le nuove barriere tariffarie tra Stati Uniti ed Europa, per Alessandro Brussi, presidente del gruppo Danieli, quella americana non è una mossa impulsiva, ma «una strategia meditata che parte da lontano» e che si inserisce in un disegno di medio-lungo periodo. E anche se l’impatto sui costi sarà evidente, per Danieli gli effetti non saranno pesanti.

Come valuta l’accordo tra Usa e Unione europea sul fronte dei dazi?

«Siamo di fronte a una scelta ragionata e preparata con attenzione dall’amministrazione Trump. Denotano uno studio accurato degli effetti sia sull’economia statunitense che su quella degli esportatori stranieri. Hanno fatto i conti, e sanno cosa vogliono ottenere».

Che cosa cambia concretamente per un gruppo come Danieli?

«Nel nostro caso, producendo e vendendo impianti industriali complessi, il dazio viene pagato dal cliente finale. È un sovraccosto sull’investimento. Non è un danno diretto per noi, ma è chiaro che incide sulla competitività. Se vendiamo a 100, il cliente paga già 200 considerando anche altri fattori come i costi infrastrutturali e di collegamento all’impianto. Per cui il dazio gli può fare sì male, ma non muore. Tuttavia, il nostro settore regge meglio rispetto a chi lavora con prodotti da consumo immediato».

Chi soffrirà di più secondo lei?

«Le categorie che si rivolgono direttamente al consumatore finale. Penso a chi esporta beni di largo consumo, come il cibo. Se un cittadino americano vede l’olio d’oliva italiano aumentare di prezzo, probabilmente sceglierà quello turco o un’alternativa più economica. Su questi segmenti i dazi possono davvero azzerare il vantaggio competitivo europeo».

Vede però una logica dietro questa politica protezionista.

«Assolutamente sì. È una linea che l’America persegue da anni. Già l’amministrazione Biden aveva iniziato a bloccare le importazioni strategiche. Trump non ha fatto altro che rafforzare questa tendenza. L’obiettivo è evidente: riportare la produzione dentro i confini, rendere autosufficiente l’industria americana».

È preoccupato per gli sviluppi futuri?

«Vedremo come verranno applicati i dazi nel concreto. Ci saranno sicuramente margini di discussione e qualche esenzione».

Si aspetta evoluzioni nell’accordo?

«La mia impressione è che questa sia la fine di una prima fase. L’accordo attuale probabilmente verrà affinato e adattato nel tempo. Stiamo entrando in una fase nuova, più complessa, in cui si cercherà un nuovo punto di equilibrio tra protezione e apertura commerciale. Servirà intelligenza da entrambe le parti».

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