Il Gruppo Fedrigoni cambia organizzazione. I timori del sindacato
Il nuovo assetto societariocdovrebbe prevedere tre società distinte per ciascuna business unit, oltre a una holding di controllo

Fedrigoni potrebbe a breve cambiare organizzazione, costituendo tre business unit a supporto e sviluppo dei tre principali asset del Gruppo, guidate da tre nuovi amministratori delegati. È quanto emerge da un incontro che le organizzazioni sindacali Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil e Ugl Carta e Stampa hanno avuto ieri con l’amministratore delegato del Gruppo Fedrigoni, Marco Nespolo, affiancato dal responsabile delle relazioni industriali Giuseppe Giacobello.
Secondo quanto riferito, Nespolo avrebbe dichiarato che questa scelta mira a rendere i tre asset più performanti, agili e flessibili, favorendo un’ulteriore espansione delle attività, una maggiore indipendenza tra le divisioni, una più efficace penetrazione del mercato e l’eventuale ingresso di nuovi azionisti.
Fedrigoni ha superato nel 2024 i due miliardi di fatturato (+14,8%) ed è leader mondiale nelle etichette e materiali autoadesivi, carte speciali per packaging di lusso e comunicazione creativa, soluzioni Rfid. Fondata nel 1888 a Verona, oggi ha quasi 6.000 persone in 28 Paesi e 73 stabilimenti tra siti produttivi, centri di taglio e distribuzione, offrendo ben 25.000 prodotti in 132 Paesi. Quindi un Gruppo in salute, con prospettive di crescita in attività redditizie.
L’azienda, dal canto suo, conferma che è stata presa la direzione di creare all’interno del gruppo delle società operative sempre più distinte, «alla luce delle mutate condizioni di mercato, delle dimensioni raggiunte da ciascuna business unit e dalle strategie distinte che ognuna di esse sta perseguendo». «Business gradualmente più separati – precisano in Fedrigoni – consentiranno una maggiore agilità e faciliteranno future operazioni straordinarie, che dovessero presentarsi per le singole società».
Fedrigoni oggi è controllata pariteticamente al 46% da due società d’investimento, l’americano Bain Capital (dal 2018) e l’inglese BC Partners (dal 2022). Non è un mistero che questo tipo di finanziarie spesso investa per poi uscire, quando scorga la possibilità di realizzare una plusvalenza. Per cui non è escluso che l’operazione punti ad attirare nuovi soci, sia in affiancamento che in sostituzione di quelli attuali. Si va dunque verso un nuovo assetto societario, che prevede la suddivisione in tre società distinte per ciascuna business unit, oltre a una holding di controllo.
Ma la nuova organizzazione non lascia tranquilli i sindacati, che ricordano in negativo la questione “Giano”, la carta per ufficio di cui Fedrigoni si è liberata, considerandola una produzione a basso valore aggiunto. Ora temono che il nuovo assetto possa impattare negativamente sugli stabilimenti italiani, in particolare quelli del Nord Est, dove – tra Verona, Arco, Varone, Scurelle, Cordenons e Gorizia – lavorano oltre 1100 persone.
Le organizzazioni sindacali ritengono che si vada incontro a rischi quali eccedenze di personale dovute a ridondanze o difficoltà di ricollocamento, frammentazione delle relazioni sindacali, possibili operazioni di acquisizione finalizzate ad aumentare il valore delle singole società per una successiva vendita, o addirittura la cessione di una delle stesse senza interventi preventivi.
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