Dazi, Enrico Carraro: «Compromesso accettabile, ora più certezze per chi investe»

Il presidente di Carraro Group: «Puntare su elettronica e alta tecnologia. Macchine utensili, robotica e parte dell’automotive continueranno a subire forti pressioni»

Giorgio Barbieri
Enrico Carraro, a destra, intervistato dal direttore Luca Ubaldeschi
Enrico Carraro, a destra, intervistato dal direttore Luca Ubaldeschi

«Onestamente, poteva andare peggio. Siamo di fronte a un accordo che definirei accettabile. Non lo volevamo, ma vista la piega che stavano prendendo le cose, è un compromesso».

È l’analisi pragmatica di Enrico Carraro, presidente dell’omonimo gruppo con sede a Campodarsego e uno stabilimento a Maniago in Friuli Venezia Giulia, per il quale è importante che sia finita questa fase di incertezza perché, dice, «gli imprenditori possono adattarsi a tutto, ma non all’imprevedibilità».

Il 15% di dazi però resta e per alcuni settori strategici può essere un problema.

«Sì, ed è una soglia che pesa, soprattutto se la sommiamo alla svalutazione che ha già colpito l’euro rispetto al dollaro, che incide per un ulteriore 10%. Alcuni comparti, come le macchine utensili, la robotica e una parte dell’automotive - ambiti nei quali l’Italia è forte - continueranno a subire forti pressioni».

Cosa pensa della strategia negoziale del presidente Trump?

«È stato abile. Probabilmente il 15% era il suo obiettivo sin dall’inizio, ma l’ha presentato come un compromesso e come una concessione. Ha usato la sua tecnica, e noi ci siamo dovuti adattare. Il punto ora è evitare che questa instabilità continui. Per chi deve investire e pianificare strategie a lungo termine, questo è il vero ostacolo».

Vede ancora il rischio di una guerra commerciale?

«Credo di no. Ma siamo entrati in un periodo di grande incertezza, e questo è già di per sé molto pericoloso. Serve stabilità. Questo tira e molla continuo danneggia chi fa impresa. E se non si fissa una soglia stabile, diventa difficile anche solo decidere se continuare a esportare negli Stati Uniti o spostarsi verso nuovi mercati».

Ci sono settori che potrebbero assorbire meglio l’impatto dei dazi?

«Sì, penso ad esempio alle macchine agricole o ad alcuni segmenti industriali in cui il valore aggiunto resta molto alto. Con un dazio del 15% si può restare competitivi se il prodotto è di qualità, se c’è innovazione. L’Europa, in questi ambiti, può ancora dire la sua. L’elettronica, l’alta tecnologia, la componentistica avanzata: sono queste le aree su cui puntare».

E per quanto riguarda il settore agroalimentare, un’eccellenza italiana?

«Credo che il vino, ad esempio, subirà poco l’impatto. Chi compra una bottiglia di prosecco da 20-25 euro a settimana non è sensibile a un rincaro del 15%. I nostri vini, i prodotti di alta gamma, sono rivolti a un target che può assorbire questi aumenti. Il problema sarà più serio per i prodotti di largo consumo o per chi esporta in fasce di mercato più ampie».

Quali conseguenze ci saranno per i consumatori americani?

«In molti casi, saranno loro a pagare. I dazi si scaricheranno inevitabilmente sul prezzo finale. E non solo per l’agroalimentare, ma anche per la tecnologia e i beni di consumo. Le big tech, ad esempio, non avrebbero certo assorbito il costo di un’imposta digitale: l’avrebbero scaricato sul cliente finale. Ecco perché certe decisioni - come non imporre una tassa unilaterale - sono frutto anche di mediazioni».

Portare la produzione negli Stati Uniti è un’opzione realistica per le imprese italiane?

«È complicato. Qualcuno ci ha pensato, anche noi in Carraro abbiamo valutato scenari alternativi per servire meglio il mercato nordamericano. Ma non ci sarà un ritorno di massa in Usa. Per alcune nicchie, forse sì: avere una presenza produttiva locale può aiutare, ma la manodopera è scarsa, i costi sono alti e la complessità del contesto statunitense è aumentata. Stanno espellendo una parte importante della forza lavoro straniera, in particolare quella messicana, che è cruciale in molti settori».

Cosa si aspetta nei prossimi mesi?

«Sarà interessante vedere quanti investimenti annunciati si tradurranno poi in realtà. Ieri si parlava di circa 600 miliardi in arrivo dagli europei negli Stati Uniti, ma scrivere i comunicati è una cosa, realizzarli è un’altra. Le aziende devono ritrovare fiducia, manodopera e condizioni favorevoli. Nel Nord Est esistono infatti diverse realtà pronte a cogliere le opportunità, ma solo se ci darà un quadro normativo e commerciale stabile».

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