Dazi, Miranda (ExportUsa): «Esportare significa fare ricerca di mercato sul campo»
Il fondatore della società di consulenza suggerisce i passi da seguire per valutare un investimento diretto negli Usa, in funzione anti-tariffe

Gli americani? «Poco formali, ma molto formalizzati. Se non si seguono i processi che hanno definito e non si soddisfano le loro aspettative, diventa difficile conquistarne la fiducia». Per Lucio Miranda, fondatore e presidente della società di consulenza Export Usa – che ha appena lanciato uno sportello (dazi@exportusa.us) per aiutare le aziende in questa fase di incertezza – il segreto è uno: sembrare americani agli occhi del cliente americano.
Quali passi dovrebbe compiere un’azienda italiana che intenda aprire una sede negli Usa?
«La prima cosa è capire se c’è mercato, se il prodotto si vende e quanto si vende. Si comincia esportando, per rendersi conto del grado di interesse e valutare i prezzi dei concorrenti: esportare equivale a una gigantesca ricerca di mercato sul campo. Una volta capito che il prodotto vende in America e che si possono raggiungere volumi tali per cui diventa sostenibile creare un impianto produttivo negli Usa, è bene preparare un business plan che serve a stabilire l’ammontare dell’investimento necessario in termini di capitali e di risorse. A questo punto dovrebbero accadere due cose».
Quali?
«Sul fronte italiano occorre cominciare a parlare con Simest, che finanzia l’internazionalizzazione delle aziende italiane all’estero con prestiti agevolati a tassi bassissimi e una quota anche a fondo perduto. Sul fronte americano, invece, deve cominciare la ricerca degli incentivi statali destinati alle produzioni negli Stati Uniti».
Che tipo di incentivi mettono a disposizione gli States?
«Ogni Stato ha suo set di incentivi. Alcuni sono molto orientati all’automotive o all’aerospace (New Mexico e Alabama), altri alla meccanica e ai macchinari industriali (Indiana, Ohio, West Virginia), altri ancora hanno tutto l’indotto per i prodotti alimentari (North o South Carolina). Ogni Stato ha una vocazione industriale e un set di incentivi per insediamenti industriali. Di regola si tratta di crediti di imposta o dell’esenzione dalla property tax per 10-15 anni, a volte sono previsti anche dei grant, contributi a fondo perduto ed esenzioni dagli oneri di urbanizzazione se si costruisce su green field».
Che tempi richiede un’operazione del genere?
«Le rispondo con un esempio: Ceramiche Del Conca, azienda di Rimini,nel giro di poco più di un anno è passata dal prato verde a un impianto in Tennessee, il cui indirizzo è Del Conca way. I tempi per ottenere autorizzazioni, permessi e delibere erano diventati talmente biblici che invece di ampliare in Italia, accanto allo stabilimento già esistente, ha deciso di costruire green field in America. L’atteggiamento lì è molto più orientato al business e le cose procedono in modo più veloce».
E le imprese che non hanno ancora una sede negli Usa come possono affrontare la fase attuale? È sufficiente dialogare con l’importatore?
«Dopo la crisi di Lehman Brothers, la figura dell’importatore si è gradualmente trasformata in quella di un distributore. Oggi bisogna diventare importatori di se stessi e costruire un minimo di struttura per porsi agli occhi del cliente americano come un americano: bisogna avere una società, un indirizzo, un telefono, un conto corrente in Usa. Sembra banale, ma le aziende americane pagano con assegni anche forniture cospicue: se non hai un conto corrente americano crei un problema».
Le aziende che, pur non producendo lì, hanno una sede commerciale negli Usa sono meno esposte ai dazi?
«Per chi ha una sede commerciale negli Usa con società di diritto statunitense ci sono due distinti protocolli di importazione. Per chi esporta negli Stati Uniti prodotti che compra da terzi, la First sale rule prevede che il dazio sia calcolato non sul prezzo di importazione ma sul costo pagato al fornitore terzo. Il secondo protocollo permette invece di calcolare le tariffe sul costo industriale del prodotto. Impostare la pratica con le dogane ha un costo fisso, ma qui i vantaggi possono essere enormi e tanto più alti quanto maggiori sono i volumi e più alto il costo dei dazi».
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