Carta italiana a rischio: l’energia è più cara del 50%

Poli (Assocarta): «Impianti fermi, senza misure urgenti e non più rinviabili la filiera non regge». Intanto la Svezia ha sorpassato il nostro Paese nella produzione europea. Siamo al terzo posto

Edoardo Bus

Lorenzo Poli, veronese, è il presidente di Assocarta, l'Associazione di categoria che aggrega, rappresenta e tutela le aziende che producono in Italia carta, cartoni e paste per carta. Non ne può più di una situazione in cui il sistema italiano continua a perdere terreno a causa dei maggiori costi dell’energia rispetto ai competitor europei.

«Abbiamo impianti fermi a causa del costo dell’energia, che in Italia è pari a circa il 30% in più rispetto alla Germania, il 40% verso la Francia e il 50% al confronto con la Spagna – dice Poli – e questo non ci rende competitivi, visto che i nostri impianti sono naturalmente energivori. I motivi sono essenzialmente politici, visto che in altri Paesi sono i governi a mantenere un prezzo calmierato a favore della produzione e industriale, mentre da noi non è così».

Poli lamenta poi la difficoltà da parte del Governo di “mettere a terra” provvedimenti legislativi interessanti, di cui mancano i regolamenti attuativi, come l’Energia release a favore degli impianti rinnovabili e di chi produce biometano.

«Il settore cartario italiano - conclude il Presidente Assocarta - consuma da solo circa 2,5 miliardi di metri cubi l’anno di gas (circa il 20% dei consumi di gas industriale) e non può più sopportare questo pesante differenziale che mette in pericolo la competitività delle imprese del settore, bisogna mettere in sicurezza il settore e l’intera filiera con misure non più rinviabili».

Intanto abbiamo perso il secondo posto continentale nella produzione a favore della Svezia, proprio a causa degli extracosti l’industria cartaria deve sopportare, in un mercato mondiale dominato anche in questo caso dalla Cina, con una quota del 30% contro il 18,5% europeo.

«Ma in Cina hanno la possibilità – chiosa Poli – di costruire nuovi mega impianti partendo da un prato verde, anche per la necessità di assecondare i maggiori consumi determinati dalla crescita progressiva del benessere della popolazione».

In Italia (dati di fine 2024) la produzione e la domanda interna presentano un recupero del 6,2% e del 7,8% rispettivamente, a fronte di un fatturato di 8,3 miliardi di Euro - in aumento dell’1,5% - generato da 19.000 addetti diretti in 151 cartiere. Ma crescono anche le importazioni del 12,7%, che soddisfano oltre il 54% della domanda interna confermando una perdita di competitività sul mercato interno dei prodotti nazionali.

«La particolarità italiana – fa notare Poli – è che noi siamo i migliori al mondo nella raccolta della carta da macero, ma invece di utilizzare sul posto questa materia prima – con indubbi vantaggi ambientali – la esportiamo, perché qui da noi è più conveniente comprare prodotto finito dall’estero».

Così circa un terzo della carta da macero viaggia in nave verso India, Turchia, Vietnam e paesi asiatici. L’altro fenomeno nazionale è l’implosione delle vendite di carta per usi grafici. «Nei primi sei mesi del 2025 si registra un altro 16% di perdita (complessivamente un -55% dal 2018 ad oggi) dovuto alla progressiva diminuzione dei supporti.

Alla crisi di giornali e riviste su carta – fa notare Poli - va aggiunta la silenziosa progressiva sparizione o quasi delle istruzioni degli elettrodomestici, dei menu nei ristoranti, dei biglietti da visita, delle carte e delle buste da lettera; tra poco potremmo assistere persino alla scomparsa dei “bugiardini” nelle medicine, sostituiti da un QRCode».

In questo scenario il Veneto se la cava ancora bene. È la seconda regione produttrice in Italia con quasi il 20% della produzione, assicurata da 20 stabilimenti cartari, tra cui Cartiere Saci, di cui Poli è presidente, leader europeo nella produzione di carta da imballaggio a partire da materia prima 100% riciclata, che produce carta e imballaggi flessibili. Ma ci sono altri grandi nomi, come la Burgo di Altavilla Vicentina, che ha sette stabilimenti a nord est (Veneto e Friuli Venezia Giulia); Fedrigoni, che ha stabilimenti a Verona e in Trentino ad Arco e Riva del Garda; e anche Reno De Medici, che produce in provincia di Belluno. 

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