CoffeeTree, in due anni fatturato raddoppiato

La società di Opicina vende caffè verde alle torrefazioni medio-piccole. Nel 2024 ha registrato 9,5 milioni di ricavi e un Ebitda di 1,4 milioni

Giorgia Pacino
Simone Marzaroli, Alenka Obad e Giovanni Lokar
Simone Marzaroli, Alenka Obad e Giovanni Lokar

 

Una progressione legata all’aumento delle quotazioni del caffè, ma anche al costante incremento dei volumi commercializzati. In due anni ha quasi raddoppiato il fatturato CoffeeTree, azienda di Opicina specializzata nell’importazione e nella vendita di caffè verde.

La società, fondata nel 2016 da Simone Marzaroli, Alenka Obad e Giovanni Lokar, tutti con una lunga storia nel settore del caffè crudo e torrefatto, ha chiuso il 2024 con 9,5 milioni di ricavi e un Ebitda di 1,4 milioni. In questi primi nove mesi del 2025 ha già superato gli 11 milioni e conta di chiudere l’anno a quota 14 milioni di fatturato. Quasi il doppio dei 7,8 milioni mandati in archivio nel 2023: nei cinque anni precedenti l’azienda ha registrato un tasso annuo di crescita pari al 18,3%.

«Siamo un’azienda giovane: domenica festeggeremo i nove anni di attività», racconta Obad, che in CoffeeTree si occupa di acquisti e finanza.

«Quando abbiamo iniziato, oltre alla conoscenza del settore, avevamo ben poco. Eravamo entusiasti e desiderosi di partire e di anno in anno siamo cresciuti, cercando di mantenere quello spirito e quei valori: gestione equa, trasparenza, prodotti di qualità, affidabilità».

Una ricetta che sembra aver funzionato: oggi CoffeeTree vende circa 34 mila sacchi l’anno, equivalenti più o meno a 20 mila tonnellate di caffè verde. I suoi clienti sono le torrefazioni medio-piccole del Centro e Nord Italia e dei Paesi che gravitano attorno al porto di Trieste: Austria, Balcani, Romania, Bulgaria e tutto l’Est Europa, ma anche Turchia e Israele. Metà del fatturato è realizzato all’estero, metà in Italia.

Il chicco arriva alla sede di Opicina da tutti i principali Paesi produttori: Brasile in testa, insieme a Colombia e Centro America per la qualità Arabica, India, Vietnam e i Paesi africani per la Robusta. Per lo specialty coffee i principali mercati sono quelli di Bolivia e Perù. «Lavoriamo anche con i caffè certificati», spiega Marzaroli, socio e responsabile commerciale. «È un mercato particolare, un po’ di nicchia. E in questo momento, con l’aumento dei prezzi, non è facile acquistare caffè che hanno un costo superiore».

I numeri parlano da soli. Sulla Borsa di Londra la Robusta, che negli ultimi anni si è sempre aggirata sui duemila dollari per tonnellata, oggi ha raggiunto i 4.200. Sull’Ice di New York l’Arabica, storicamente venduta tra i 100 e i 200 centesimi per libbra, ora viaggia sui 400. «Con quotazioni doppie rispetto alla media di qualche anno fa diventa tutto più impegnativo in termini finanziari», sottolinea Obad.

L’aumento ha avuto un impatto non solo sui torrefattori, ma anche su importatori e commercianti di caffè verde. «È cambiato il modo di vendere», sintetizza Marzaroli. «Prima si lavorava sul lungo termine, ora solo con contratti sul pronto o con consegna a massimo 30 giorni: con la volatilità che c’è in Borsa e i prezzi che oscillano in maniera vertiginosa, il mercato risponde acquistando quantitativi superiori ma frazionati nel tempo».

Senza contare la riduzione delle produzioni dovuta al cambiamento climatico e le difficoltà lungo le rotte commerciali. «Dentro quei sette grammi di caffè che consumiamo al bar c’è un lavoro enorme, dalla raccolta al viaggio, e poi la pulizia, l’asciugatura, la tostatura, l’imballaggio», ricorda ancora Marzaroli. «È la bevanda calda più economica del bar, eppure un chicco di caffè per arrivare in Italia fa, in media, quasi novemila chilometri. E spesso non gli si dà il giusto valore».

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